Professor Masciandaro, è d’accordo con chi interpreta l’abbandono a se stessa di Lehman Brothers come una sostanziale fiducia sulle capacità del mercato di riassorbire le conseguenze del fallimento e, quindi, come un implicito segnale delle autorità monetarie di un prossimo miglioramento della situazione?

No. Vedo invece la decisione del Tesoro Usa e in generale delle autorità monetarie come un segnale di confusione. Non si percepisce una strategia ben definita, e infatti domina l’incertezza. Le scelte sembrano essere fatte sulla base di una navigazione a vista, giorno per giorno, senza voler toccare il problema principale, che è quello del disegno delle regole. Credo che il nodo sia proprio questo. Non andando alla radice della questione, per ragioni che riguardano l’intreccio tra politica e finanza, chiedendosi quali sono state le ragioni del fallimento e come porvi rimedio, si continua ad affidarsi a decisioni quotidiane e contradditorie, perché non si capisce dove stia la coerenza nel salvare prima Bear Stearns, poi Fannie Mae e Freddie Mac, ma non Lehman, e poi di nuovo salvare Aig.



È ormai opinione diffusa che i sistemi di vigilanza sulle operazioni finanziarie negli Stati Uniti non abbiano funzionato, anche per un’eccessiva segmentazione e frammentazione delle autorità e dei controlli. Vi sono anche altre cause?

Le cause sono essenzialmente due: cattiva regolamentazione e cattiva politica monetaria. Perché? Perché nel disegno delle regole e nel disegno delle politiche monetarie l’autorità di controllo è stata di volta in volta o “catturata” dalla politica, o catturata dal mercato. Non siamo di fronte a un fallimento del mercato, ma ad una situazione in cui le regole del mercato non si sono applicate. Quello che è accaduto da un anno a questa parte ci dice che le autorità devono fare le regole a prescindere dagli interessi politici e dal mercato di breve periodo. È proprio quello che non è stato fatto negli Stati Uniti e questo è il risultato.



Quali sono le principali differenze con la situazione europea e in particolare italiana?

Le differenze cruciali sono essenzialmente due. In primo luogo il sistema bancario e finanziario europeo è meglio regolamentato di quello americano. In secondo luogo il modello di banca, soprattutto in Italia, è diverso dal modello di banca che si è diffuso in questi anni negli Stati Uniti: un modello “crea e vendi”, cioè “crea il credito, impacchettalo e vendilo”. In Italia il modello del credito è “creo e tengo”. Rimanendo il credito nel mio bilancio, faccio molta più attenzione ad erogare il credito. Questi due elementi distinguono fortemente il contesto americano da quello europeo, in particolare italiano.



Nonostante comportamenti quanto meno poco trasparenti da un lato, e quanto meno poco attenti dall’altro, non sono saltate teste né nella comunità finanziaria né nelle autorità di controllo, e anche l’atteggiamento del governo è sembrato morbido. Qual è la sua opinione?

Se abbiamo un sistema che in modo bipartisan non è capace di riformarsi, non cambieranno nemmeno le persone che gestiscono questo sistema. E il sistema non ha alcun interesse a cambiare le persone, perché sono organiche ad esso.

Lei ha parlato di “balcanizzazione” del sistema regolatorio Usa. Che cosa ci insegnano gli ultimi avvenimenti?

L’espressione balcanizzazione in realtà è stata usata in documenti ufficiali. Indica un sistema obsoleto e frammentato, ma finora gli americani hanno ritenuto di poter dimostrare che non fosse un fattore rilevante, perché i loro mercati erano i migliori del mondo. Gli ultimi fatti hanno dimostrato che non è così; aspettiamo di vedere se questi fatti saranno un incentivo a riformarlo.