Un anno dopo il crack Enron (12,5 miliardi di dollari di perdite, nel 2001 sembravano un’enormità) le autorità americane vararono una legge bipartisan, la Sarbanes-Oxley, che avrebbe dovuto garantire i risparmiatori americani sulla veridicità dei bilanci delle aziende Usa. I responsabili legali delle imprese, da allora, sono tenuti a giurare sul fatto che i numeri riportati nei rendiconti annuali riflettono l’esatto stato di salute dell’azienda. D’ora in poi i crack, si disse, sono impossibili. Dopo 7 anni in America sono fallite 15 istituzioni finanziarie in 16 mesi.
Cosa non ha funzionato nella legge più perfetta del mondo? Non ha funzionato esattamente il fatto che si pensava che fosse la legge più perfetta del mondo e che con essa si fosse definitivamente risolto il problema della cupidigia umana, ovvero della cupidigia dei dirigenti delle banche d’affari e delle istituzioni immobiliari le cui remunerazioni hanno continuato a viaggiare su un binario indipendente a quello della solidità aziendale. Oggi i legislatori idealisti, per quanto bipartisan, continuano ad essere alla ricerca di una legge più perfetta della precedente, di una norma più stringente della precedente e di una pena per i trasgressori più severa della precedente senza prendere atto realisticamente che qualsiasi legge può essere aggirata e che ogni controllo, per quanto severo, può essere eluso.
L’ideologia alla base della Sarbanes-Oxley è che basta trovare la legge giusta per fare, di manager avidi, dei manager coscienziosi. Ed è la stessa ideologia che informa la richiesta di nuove leggi, nuovi controlli, nuove pene destinate a preparare il terreno per i futuri crack. Ciò di cui il sistema economico ha assoluta necessità non è una nuova Sarbanes-Oxley, ma di un realismo che prenda atto che nessuna legge renderà “etica” l’economia se non si rendono “etici” i manager che la guidano (è interessante andare a vedere i corsi di laurea delle maggiori università americane per accorgersi che la “ethical business” o la “ethical decision making” sono da anni materie d’insegnamento, ma i risultati sono scarsi). Accorciare la filiera che collega chi eroga credito a chi lo impiega è un modo per rendere più stringente il collegamento tra la finanza e l’industria saltando quei passaggi intermedi (dove prosperano le banche d’affari) nei quali si annida la speculazione.
In questo senso la risposta a una crisi planetaria non può essere il varo di nuove regole, ma innanzitutto deve essere quella di fare emergere tutte le perdite e i buchi nei bilanci del maggior numero possibile di istituzioni finanziarie che hanno avvelenato i pozzi dell’economia mondiale immettendo titoli strutturati dai rischi non controllabili. Incidere il più profondamente possibile nel corpo di un’economia malata, anche a costo di nuovi fallimenti è un’operazione lunga e dolorosa, ma è l’unico modo per risanare un mercato del credito avvelenato. Speriamo che i recenti interventi di salvataggio decisi dal tesoro americano siano tesi a questo e non a insabbiare responsabilità personali o, peggio ancora, perdite non ancora emerse.