Rispettando scrupolosamente i tempi che si era dato, Cesare Geronzi ha fatto ratificare il 18 settembre il nuovo statuto di Mediobanca dal “patto di sindacato” e dai vari consigli per il ritorno della merchant bank più blasonata d’Italia al sistema tradizionale, dopo un anno di adozione dell’innovativo sistema duale.
Geronzi ritorna a essere il presidente a tutto campo di Mediobanca dopo un anno di diatribe e di complicazioni sulle competenze che non gli permettevano di essere anche vicepresidente di Generali e Rcs-Corriere della Sera, cioè in due delle partecipate più importanti di piazzetta Cuccia. Tuttavia non si può dire che in questa partita ci sia un vincitore e uno sconfitto. Piuttosto che in Mediobanca si è raggiunto un ragionevole armistizio tra due filosofie di banca e un equilibrio che appare ragionevole tra il management, che chiede e rivendica una sua autonomia e i grandi soci di piazzetta Cuccia. Il verbo ratificare sembra quindi un po’ brutale, forse fuorviante, ma rivela più che altro l’esigenza di Mediobanca a essere pronta per gestire “partite” di grande importanza della finanza italiana. Piazzetta Cuccia è presente in Telco, la holding azionista di riferimento di Telecom Italia, il cui assetto societario e il cui rilancio industriale è ormai alle porte.
Poi c’è il problema “molto politico” di Rcs-Corriere della Sera che sarà presto in calendario. Infine, a cominciare dalla prossima primavera, si comincerà a discutere del futuro di Generali (la cassaforte del risparmio italiano) e della lenta successione ad Antoine Bernheim. Ratificare pertanto era da un lato urgente e d’altro canto la stragrande maggioranza di Mediobanca si era già pronunciata a favore del ritorno al sistema tradizionale, probabilmente comprendendo che piazzetta Cuccia è dotata di un’anomalia che le viene assegnata dalla storia italiana di questo Dopoguerra: non è solo una merchant bank, ma funge da holding con partecipazioni strategiche e ha sempre svolto un ruolo di playmaker negli assetti del capitalismo italiano. Con l’approvazione del 18 settembre, si può passare a preparare l’assemblea ordinaria e poi straordinaria dei soci del 28 ottobre, necessaria alla definitiva approvazione dello statuto.
Si dice che Geronzi abbia cominciato a lavorare per questa svolta in primavera, ma, di fatto, l’ha messa letteralmente in cantiere nel mese di luglio, per poi dare un’accelerata finale addirittura a metà agosto. Alla fine, sul ritorno al tradizionale, si sono formalmente opposti due soci del Gruppo B (soci industriali) di Mediobanca, ma non c’è stata alcuna vera distinzione o nessun dissidio insanabile tra i grandi soci di piazzetta Cuccia. In conclusione ha prevalso il buon senso, vale a dire che non si può votare a maggioranza o minoranza una simile scelta provocando indirettamente la destabilizzazione di una istituzione come Mediobanca. Anche, fatto incontestabile, se le discussioni di queste settimane e di questi giorni, fanno comprendere che all’interno di piazzetta Cuccia ci sono due concezioni, due filosofie di banca. Le perplessità di un socio come Unicredit (8,7%) sui tempi del ritorno al tradizionale, sono legate a una visione di banca dove il management svolge una funzione operativa decisiva e quindi il duale era visto come una garanzia di maggiore autonomia. A questa si accompagna quanto meno una diffidenza, di carattere politico se così si può dire, sulla funzione di Mediobanca nella grandi partecipate.
È possibile che questa doppia filosofia conviva ancora per molto tempo in piazzetta Cuccia, ma non le impedisca di svolgere al contempo un ottimo lavoro di merchant banking e di svolgere quello che storicamente ha sempre fatto in Italia: la stanza di compensazione dei grandi affari. Al momento si può dire, con una certa ragionevolezza, che si sia arrivati appunto a una sorta di armistizio tra queste due filosofie di banca e del ruolo di Mediobanca. I nuovi organi che saranno definitivamente introdotti con lo statuto e posti all’approvazione dell’assemblea straordinaria dei soci, il prossimo 28 ottobre, soddisfa esigenze che sembrano contrapposte. Nel sistema duale c’era un Consiglio di gestione, composto da cinque manager, e un Consiglio di sorveglianza, composto dai grandi soci e presieduto da Cesare Geronzi.
Oggi ci si ritroverà con il “vecchio” Consiglio di amministrazione costituito da 22 membri e presieduto da Cesare Geronzi, ma al suo interno con la presenza di tutti i cinque top banker di quello che ormai si può chiamare il vecchio Consiglio di gestione. In più, nello schema della nuova governance tradizionale ci sarà un esecutivo (dove anche qui è garantita la presenza del management al completo) e un Comitato nomine di sei membri. Questo Comitato nomine ha una funzione che si può definire strategica in Mediobanca, perché gestisce di fatto gli equilibri al vertice delle partecipate di Mediobanca. Ora in questo Comitato nomine ci saranno il presidente Cesare Geronzi, l’amministratore delegato Alberto Nagel (che ricopriva il ruolo di consigliere delegato nel Consiglio di gestione) e il direttore generale Renato Pagliaro (che aveva il ruolo di presidente nel Consiglio di gestione), più tre soci in rappresentanza dei tre gruppi di investitori di Mediobanca: A (bancari), B (industriali), C (esteri). Come si può vedere quindi, alla base dell’armistizio c’è l’affermazione della linea di Geronzi che ottiene il ritorno al sistema tradizionale, ma nello stesso tempo c’è la valorizzazione del management nei nuovi organismi. Un lungo e faticoso compromesso, con reciproci “passi indietro” che si attende alla prova sul campo. In questo armistizio, ci cono due curiosità degne di essere sottolineate.
La promozione di Marco Tronchetti Provera a vicepresidente di Mediobanca insieme all’altro vicepresidente Dieter Rampl, che è anche presidente di Unicredit e l’ingresso nel consiglio di amministrazione di Marina Berlusconi in rappresentanza di Fininvest.