Quando giovedì è arrivata la notizia del ritiro dell’offerta di Cai per Alitalia, tra me e me ho pensato: «È un peccato, sembrava ormai fatta». Più tardi, quella stessa sera, ho visto in televisione Porta a porta con Bonanni, Sacconi, Fassino, Solari e Berti.
In un servizio sono state fatte vedere le urla di gioia e gli applausi di alcuni dipendenti Alitalia a Fiumicino. In particolare sono stato colpito dalle parole di una hostess romana che sintetizzo così: sono contenta che Cai abbia ritirato la sua offerta, così ora ne avremo un’altra. A quel punto non ho potuto non tifare per il fallimento dell’azienda. Se questo è il livello dei suoi dipendenti, che fallisca. Se preferiscono essere “falliti”, piuttosto “che in mano a sti banditi”, perché non li si dovrebbe accontentare?
Per quanto senza valore scientifico alcuno, il sondaggio de ilsussidiario.net indica che i lettori condividono questa opzione.
Esiste il famoso detto “O mangi questa minestra, o salti dalla finestra”. I lavoratori e i sindacati di Alitalia si sono trovati più o meno in questa situazione, dopo anni di ricche abbuffate, e per questo hanno provato in tutti i modi a chiedere una pastasciutta. Ma non si poteva avere. Colaninno ha provato a dire: condiamo questa minestra con un po’ di formaggio (1.000 assunzioni in più e parte degli utili aziendali ai dipendenti), così diventa più saporita, ma vi avviso che la pastasciutta proprio non ce la possiamo permettere.
Qualcuno ha capito l’antifona: Colaninno faceva sul serio, e così Cisl, Uil e Ugl hanno detto: ci stiamo. Qualcun altro ha tirato la corda che si è spezzata. Molti lavoratori (come l’hostess di cui sopra) sono ancora convinti di poter avere la pastasciutta, al posto della minestra, mentre la situazione è così drammatica che rischiano di restare a bocca asciutta per sempre.
Non tutto è però perduto, proviamo a capire perché e a rispondere ad alcune domande.
Quanto tempo resta prima del fallimento?
Allo stato delle cose è utile porsi questa domanda: quanto tempo ancora c’è a disposizione per trovare una soluzione che non sia il fallimento?
Non si può essere molto precisi, ma se l’offerta della Cai fosse rimasta in piedi, c’era tempo fino al 30 settembre. Non è un caso che nell’accordo quadro firmato da Cgil, Cisl, Uil e Ugl ci si era prefissati quella data per siglare l’accordo sui contratti di lavoro.
Questo termine è stato anche confermato ieri dall’Enac: se le cose non muteranno entro 10 giorni, la licenza ad Alitalia verrà revocata.
Quali soluzioni percorribili ci sono?
Cai non si è sciolta, il che è significativo. Dato che la società si era costituita proprio per acquistare Alitalia, se la sua scelta di ritirare l’offerta fosse definitiva che motivo avrebbe di esistere ancora?
Probabilmente lo “strappo” si potrebbe ricucire, ma solo se Cgil e gli altri sindacati (ricordiamo che l’Anpav ha dichiarato ieri di essere disponibile a firmare l’accordo quadro) ritireranno la loro controproposta. Diversamente, l’unico motivo per stare in vita sarebbe quello di rilevare alcuni asset di Alitalia (quelli della badco) che potrebbero essere utilizzati per AirOne (un’altra bella domanda è: che ne sarà della compagnia di Toto senza la Cai?)
Sindacati “ribelli” e opposizione chiedono però che si trovi un altro acquirente. Ma dove? Ieri tutte le principali compagnie europee hanno dichiarato di non essere interessate ad Alitalia.
Loro potrebbero farsi avanti solamente quando si sarà con l’acqua talmente alla gola da poter svendere la compagnia per un piatto di lenticchie, piuttosto che farla fallire.
Qualcuno dall’opposizione potrebbe dire che Fantozzi ha la facoltà di chiedere un prestito dando in garanzia alcuni cespiti aziendali. Sacconi ha però ben spiegato che il Commissario può farlo solo se intravvede la possibilità che ci sia un nuovo acquirente (che non c’è), altrimenti ne risponderà penalmente. Francamente credo che Fantozzi non voglia rischiare la galera per far contenti i suoi “amici” di centrosinistra.
Dulcis in fondo il fallimento, cosa che meriterebbero alcuni lavoratori della compagnia.
Personalmente punto il mio chip sul fatto che sindacati e Cai troveranno l’accordo nella prossima settimana, che sarà fatta di giornate di rimbalzi, previsioni catastrofiste e battibecchi politici.
Perche la Cai ha ritirato la sua offerta?
La cordata di imprenditori italiani aveva messo in piedi un piano industriale alquanto discutibile. Tuttavia si trattava di una strada percorribile per avere un regional player in buone condizioni economiche, che poteva essere acquisito (non prima di 5 anni) o cercare partnership con un grande vettore internazionale.
Ovviamente Cai non poteva caricarsi sulle spalle il carrozzone tale e quale, con gli stessi costi fissi. Per questo erano previsti esuberi e riduzioni degli stipendi per i lavoratori. I sindacati non hanno gradito. Cai ha fatto una controfferta impegnandosi ad assumere 1.000 dipendenti in più e a distribuire il 7% degli utili aziendali ai lavoratori e ha dato un preciso “ultimatum” ai sindacati.
Come detto Cisl, Uil e Ugl hanno detto “va bene”. Le altre sei sigle sindacali (Cgil, Anpac, Avia, SdL, Up, Anpav) volevano trattare ancora. Colaninno, scaduto l’ultimatum, ha ritirato l’offerta perché mancava l’accordo di tutti i sindacati.
Scelta condivisibile. Occorreva dare un segnale chiaro ai sindacati: la musica è cambiata, non ci sarà un management debole come in passato, non ci sarà la “garanzia” di un’azienda parastatale.
Inoltre in uno stato di crisi finanziaria globale, di recessione italiana (così dice Confindustria), nessuno può fare regali a nessuno. Business is business.
Perché la Cgil ha detto no?
Epifani avrebbe da ridire su questa domanda. Direbbe che lui non ha detto no, ma ha chiesto di trattare ancora. La sostanza però non cambia: non condivideva la proposta di Cai, e questo significa dire no.
Eppure la Cgil aveva firmato l’accordo quadro insieme ai 3 sindacati “buoni”. Perché questo cambio di linea? Berlusconi crede che sia dettato dal Pd. Epifani ha spiegato che invece non ci sono garanzie per tutti i lavoratori, in particolare i piloti. Qualcuno ha fatto notare che i piloti iscritti alla Cgil non sono molti. È vero. Ma Solari ha detto: noi siamo per la democrazia, vogliamo che tutti siano garantiti, anche chi non è dei nostri. Ecco, credo che la democrazia sia qualcosa di diverso, qualcosa più vicino alla proposta di Angeletti (Uil): facciamo un referendum tra i lavoratori.
Inoltre questo ragionamento non tiene. È come voler protestare perché i giovani italiani sono poco rappresentati in Parlamento, dato che l’età media della popolazione è piuttosto avanzata.
Perché piloti e assistenti di volo hanno detto no?
Posto che anche loro direbbero “non abbiamo detto di no”, i piloti di Alitalia godono di notevoli privilegi, nonostante vadano a pontificare di avere un salario netto inferiore ai loro colleghi stranieri. Certamente è così, ma non dimentichiamo che all’estero non c’è il fisco italiano. Inoltre è la categoria che ha meno da perdere, perché il settore aereo è in espansione e il lavoro si trova facilmente. In caso di fallimento sarebbe facile trovare lavoro in altre compagnie. Ma non per tutti: chi pilota un MD-80 (obsoleto apparecchio che vola quasi solo in Alitalia) cosa farà se la compagnia fallisce? A questa domanda non so però rispondere, ma credo che solo questi piloti meritino un po’ di ascolto.
Discorso diverso per gli assistenti di volo. Dato che molti aerei con il piano Cai sarebbero rimasti a terra, il loro numero e il loro salario sarebbe diminuito non di poco. Inoltre si tratta di una buona fetta di dipendenti. La loro forza e il loro peso nella nuova compagnia scenderebbero in picchiata.
Perché Cisl, Uil e Ugl hanno detto sì?
Voglio essere ottimista e pensare che in loro abbia prevalso il buon senso e la volontà di cambiare le cose, pur rinunciando a “rendite” accumulate negli anni. Hanno anche corso il rischio di rompere il fronte sindacale, e speriamo tutti che questo non abbia ripercussioni sulle altre trattative in corso.
Non me ne vogliano Angeletti e Polverini, ma Bonanni e la Cisl in generale meritano un tributo.
Un elogio alla Cisl
Bonanni ha fatto bene a fare quello che ha fatto, in particolare a “rompere” con le altre organizzazioni sindacali. Il mito del fronte sindacale unito ha sempre storicamente fallito.
Nell’immediato dopoguerra esisteva un unico sindacato in Italia: la Cgil. Questo perché dopo le corporazioni fasciste, i sindacati “liberi” si erano uniti per avere più forza e aiutare lo sviluppo di un Paese in stato di crisi. Ma è durata poco. Dopo l’attentato a Togliatti (1948) le correnti di “sinistra” proclamarono uno sciopero generale. La corrente cattolica decise di non starci: nacque l’embrione della Cisl, la LCgil, ovvero la Libera (mai aggettivo fu più azzeccato) Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
Nei primi anni ’70 la “triplice” provò a creare un sindacato unico: non si andò oltre a una federazione che durò poco tempo.
Questo perché la Cisl ha sempre avuto una vocazione unionista, ha sempre guardato all’esperienza sindacale anglosassone, a differenza di Cgil e Uil. È sempre stata all’avanguardia nel bene e nel male. Nel male, quando dopo l’autunno caldo del ’69 la Fim (i metalmeccanici Cisl) divenne più intransigente dell’attuale Fiom. Nel bene, avendo sempre in mente le idee di personaggi come Mario Romani (di cui forse si sa ben poco): aumenti di salari legati alla produttività, partecipazione agli utili aziendali da parte dei dipendenti sono idee che sono nel Dna della Cisl da più di 50 anni. La mia speranza è che Bonanni le abbia sempre in mente durante le trattative.
Cosa può fare il Governo?
Il Governo ha già dato segni di voler provare a ricucire lo strappo tra Cai e sindacati, ma non potrà “obbligare” Colaninno a tornare al tavolo.
Berlusconi potrà continuare a usare la linea “intransigente” forte del fatto che gli italiani sembrano davvero stufi di questa situazione. In ogni caso ne uscirebbe “pulito”: aveva messo in piedi un’offerta migliore di quella di Air France, per quanto riguarda gli “interessi italiani” (che non è detto che siano i migliori). I sondaggi dicono inoltre che i cittadini attribuiscono il fallimento del negoziato alla Cgil.
Certamente va dato atto che certi fatti accaduti sono alquanto sospetti. Se una volta si parlava di “magistratura ad orologeria”, stavolta ci siamo trovati di fronte ad “ultimatum” poco chiari. È da una settimana che si dice che gli aerei rimarranno a terra. Mi pare che ci sia stata una certa pressione sui sindacati a chiudere al più presto l’accordo. E poi perché, se il Piano Fenice era pronto da mesi, commissariare l’azienda poco tempo prima del fallimento e modificare la Marzano senza passare dal Parlamento? Qualche sospetto sorge: non è che si è cercato di mettere tutti quanti di fronte al fatto compiuto senza possibilità di parlarne?
Cosa fa e cosa rispondere all’opposizione?
Incominciamo dal Pd. Veltroni ha dimostrato incapacità assoluta. Nelle ore di flebile attesa sull’esito dei negoziati, Walter si trovava a New York a comprare casa alla figlia e a presentare un suo libro. Interpellato dai giornalisti sulla vicenda Alitalia ha riposto: non dico niente perché non se ne sa nulla. Di cosa abbiamo parlato allora in tutti questi mesi?!
Dopo il “patatrac” si è invece limitato ad allinearsi alla posizione dei “suoi”.
La “corrente” ex Ds ha sparato a zero sul Premier, facendo quadrato intorno alla Cgil. Fassino ha chiesto che Fantozzi domandi un prestito dando in garanzia i cespiti aziendali (cosa che, come già detto, costituisce un “azzardo” per il Commissario) e che il Governo trovi un altro acquirente (dove?) o che “costringa” la Cai a tornare a trattare (come?). Alle domande tra parentesi Fassino ha risposto: il Governo si inventi qualcosa. Che cosa: una nuova cordata di imprenditori da criticare nuovamente? O forse spera che il Cavaliere vada in ginocchio da Spinetta e lo convinca a comprare Alitalia?
La “corrente” ex Margherita è stata un po’ più defilata. Forse ha capito che guardare al pelo nell’occhio altrui, quando si ha la “trave” di Air France nel proprio non è proprio il massimo.
Un accenno lo merita anche Di Pietro, festante a Fiumicino. Per lui è tutta colpa di Berlusconi. Se Cai se n’è andata è colpa sua, se la compagnia fallirà è colpa sua. Inoltre il progetto era solamente una forte speculazione finanziaria.
Dato che Di Pietro si infuria sempre con chi parla a vanvera di magistratura e giustizia, gli chiederei di tacere su materie in cui non ha esperienza come quella economica.
Infine, dall’esterno delle aule parlamentari (cioè da chi non rappresenta gli italiani), Rizzo ha chiesto di nazionalizzare la compagnia, proprio dopo che Tremonti e Tajani hanno ricordato che le normative europee non lo permetterebbero. Ma lui ha detto: in America lo Stato salva le banche, perché noi non possiamo salvare Alitalia? Perché ci abbiamo già messo fin troppi soldi, è la mia risposta.
A tutti costoro andrebbe comunque ricordato che Spinetta ha girato i tacchi più per “merito” dei sindacati che del Cavaliere!
Cosa conviene a tutti gli italiani (non solo ai politici, ai piloti, ai sindacalisti)?
Mi verrebbe da dire che Alitalia fallisca. Ma sono realista e so bene che sarebbe la situazione peggiore. Questo perché ci sarebbero migliaia di lavoratori a casa? No. Il motivo è che conoscendo questo Paese, nessuno potrebbe accettare 20.000 persone di colpo senza lavoro, e quindi in un modo o nell’altro si troverebbe un posto o un salario per tutti (o quasi), naturalmente a spese della collettività. Non è meglio che questi costi se li accolli, in parte, la cordata?
E che dire dei risparmiatori? È difficile che il fondo a tutela degli azionisti e degli obbligazionisti di Alitalia venga confermato (così come gli ammortizzatori sociali di 7 anni).
Vi è poi il discorso che riguarda i lavoratori: a quanto pare nei pressi di Malpensa non ci sono stati applausi e grida di gioia. Questo mi fa pensare su come questo Paese sia diviso.
Conviene allora sperare che la Cgil e gli altri sindacati (come ha fatto ieri l’Anpav) tornino sui propri passi, o che la Cai accetti la loro controproposta. Sarebbe migliore la prima opzione, tanto per far capire che occorre cambiare timbro, non solo in questa vertenza, ma anche nelle altre.
Venerdì è infatti arrivata la notizia che 5.000 esuberi di Telecom godranno di ammortizzatori sociali “speciali”: porteranno a casa il 90% dell’ultima retribuzione senza lavorare. Tutto normale? Cosa ho fatto di male per non essere un dipendente di Alitalia, di Telecom, della Rai, delle Fs…