La circostanza che maggiormente caratterizza il caso Alitalia, il possibile fallimento della Compagnia a seguito del mancato salvataggio da parte della società scialuppa presieduta da Roberto Colaninno, è la pressoché totale indifferenza dell’opinione pubblica nei confronti del destino dei quasi 20.000 lavoratori.
Che si salvino o finiscano sul lastrico, questi lavoratori, non è preoccupazione che tolga il sonno a nessuno. A parte governo e sindacati, che volentieri avrebbero chiuso l’accordo per non dover bisticciare a chi debba restare con il cerino tra le dita. La Cgil, in particolare, perché Cisl e Uil avevano aderito al piano, dovrà chiarire molte posizioni al proprio interno.
Le scene di esultanza trasmesse dalle televisioni e fissate sui quotidiani – piloti e hostess che applaudono sorridenti all’annuncio che non se ne farà niente perché Colaninno e compagni hanno deciso di gettare la spugna esattamente come Air France qualche mese fa – non fanno che confermare il giudizio della stragrande maggioranza degli osservatori.
E cioè: che vadano a farsi a benedire i dipendenti Alitalia, capricciosi e privilegiati ogni oltre possibilità di comprensione. Ma come, si appresta per loro un doppio o triplo paracadute per evitare che qualcuno, nel cadere, possa farsi del male e per tutta risposta, sprezzanti e incoscienti, tagliano i fili che dovrebbero sorreggerli?
Il fatto è che i cittadini italiani si dividono in due categorie, quelli che prendono l’aereo e quelli che non lo fanno. Se questi ultimi sono condizionati dalle voci che circolano sul conto della grande voglia di lavorare che assiste il personale Alitalia, i primi ne hanno esperienza diretta. Con le dovute e lodevoli eccezioni che non bastano a modificare il sentimento comune.
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