La soluzione individuata in America per chiudere la crisi di finanziaria è radicale. Il governo potrà comprare i contratti dei mutui insolventi e così liberare il mercato da questi prodotti “tossici” che hanno avvelenato tutto il ciclo del credito. Due interrogativi: basterà a chiudere la crisi? Se sì, a quali costi e conseguenze?



Il Tesoro potrà comprare, da istituti statunitensi, fino a 700 miliardi di dollari di prodotti finanziari con dentro mutui insolventi. Le stime della loro quantità assoluta in quel mercato oscillano tra i 500 miliardi ed il trilione di dollari. La cifra stanziata è il massimo di spesa che il Congresso può approvare senza creare nuova, e complessa, legislazione. Ma dovrebbe bastare. In sintesi, invece che fornire liquidità e garanzie di denaro pubblico volta per volta agli istituti in crisi per le perdite nei loro bilanci, il governo statunitense ha deciso di fare un’operazione di pulizia sistemica.



Avrà l’effetto desiderato? Sembra molto probabile. Il salvataggio avrà due effetti positivi: (a) fine della crisi della fiducia e ripristino del credito nel mercato privato; (b) contenimento, e poi inversione, della caduta dei prezzi degli immobili. Il secondo effetto è tanto importante quanto il primo. I soldi statali, in sostanza, compreranno le case messe sotto sequestro per l’insolvenza dei mutui, rivalorizzandole di fatto. Lo scongelamento del credito permetterà l’accensione di nuovi mutui, a pressi accessibili, e pian piano il settore si riprenderà. I bilanci degli istituti finanziari saranno puliti e ciò rimetterà in moto i prestiti interbancari e ridurrà lo specifico saggio di interesse. Ciò ridurrà i costi dei mutui a tasso variabile e, dopo un po’, dovrebbe per effetto catena farlo anche da noi in Europa. Nel momento in cui questo avverrà il sistema del credito tornerà a girare a prezzi normali permettendo investimenti delle imprese e crediti al consumo.



Tutto bene quindi? In relazione al rischio di catastrofe sì, ma sarà inevitabile una contrazione economica nel mercato statunitense da un minimo di 8 mesi ad un massimo di 18. Il rallentamento della crescita americana, forse recessione, ridurrà la crescita globale in quanto saranno minori le esportazioni nel mercato statunitense, ancora locomotiva dell’economia globale non sostituita da altre. Ciò avverrà perché ci vuole un tempo tecnico affinché l’ottimismo, il mercato immobiliare ed il volano degli investimenti si rimettano in moto. Comunque ci sarà la ripresa anche favorita, se non vi saranno guerre, dal fatto che la tendenza recessiva globale tiene bassa la domanda di petrolio riducendone il prezzo. Ma ci sono dei dubbi sull’entità della ripresa futura, in particolare sulla capacità dell’America di crescere tanto e trainare tutto il mondo. Il debito americano aumenterà perché i 700 miliardi di dollari, più altri per diverse misure stimolative o di garanzia, verranno ricavati dall’emissione di titoli. C’è un rischio di inflazione ed uno di compressione del valore di cambio del dollaro. Inoltre il sistema del credito in America, pur tornando fluido, sarà più restrittivo e ciò pomperà meno sangue nel corpo reale dell’economia. Sono rischi veri? Difficile dirlo ora. In realtà il salvataggio, comprando case poi rivendibili, potrebbe essere perfino un profitto per lo Stato. Il cambio dipende dalla relazione con altre monete/economie e nessuna sta meglio di quella americana. L’inflazione non è così certa. Non possiamo ancora scommettere, ma le sensazioni sono ottimistiche. 

www.carlopelanda.com