La vicenda Alitalia sembra dover trovare una soluzione in tempi brevissimi, se si vuole evitare il fallimento. Da più parti si chiede che i sei sindacati che hanno detto no al piano Cai – tra questi vi è il Sindacato dei Lavoratori intercategoriali (SdL) – facciano un passo indietro. In particolare è stato chiesto che si tenga un referendum tra i lavoratori perché siano loro a decidere il da farsi. Abbiamo raggiunto Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale del SdL per raccogliere un suo parere in merito.
Tomaselli, innanzitutto ci può spiegare perché avete detto no al piano di Cai?
Perché abbiamo la certezza che sia stato fatto in fretta e furia e non abbia considerato alcuni aspetti tecnici e industriali. Questo secondo me è l’aspetto più grave e che è stato fatto meno notare.
Sulla parte riguardante la flotta e quindi gli organici era un piano molto riduttivo. Inoltre, sul protocollo che ci si chiedeva di firmare a priori erano già definiti gli organici previsti per quel tipo di flotta e quel tipo di attività (e quindi gli esuberi).
Gli organici sono funzione degli aerei, ma è evidente che l’organico è anche funzione dei contratti. A noi veniva chiesto di firmare un protocollo che già definiva gli organici, senza aver potuto discutere dei contratti. È come andare al ristorante, pagare una determinata somma prima ancora di mangiare e senza sapere cosa si mangerà.
Più avanti si è capito il perché: i contratti infatti non sono mai stati discussi.
Perché allora Cisl, Uil e Ugl hanno detto sì?
Credo che da parte di questi sindacati ci sia un disegno che ha poco che vedere con Alitalia, e che riguardi di più la trattativa generale sulla contrattazione nazionale con Confindustria.
Al di là di quello che si legge sulla stampa e che dicono i politici a proposito di certi privilegi, credo che la questione in gioco sia che tipo di relazioni industriali si vogliono da qui ai prossimi anni. Credo che Alitalia stia diventando il laboratorio, dove i lavoratori sono le cavie, di un disegno che con Alitalia ha poco a che fare.
Sono poi molto spaventato da un altro fatto: Colaninno, ospite del Governo, davanti al Sottosegretario Letta ha attaccato ferocemente il sindacato che ha detto no, che non è Cgil, Cisl o Uil, e questo sinceramente mi dà un po’ i brividi. In questa situazione non c’è nemmeno più la possibilità di dialogo.
Poco prima del ritiro dell’offerta di Cai, voi avete presentato una controproposta che, alcuni dicono, abbia influito sulla decisione di Colaninno
Noi abbiamo fatto una controproposta che comportava il 25% del costo del lavoro in meno, ma non è stata nemmeno presa in considerazione.
Più il tempo passa, più mi convinco che i problemi non riguardassero noi lavoratori, ma che si tratti di problemi di carattere industriale, politico e di rapporto tra i vari soggetti della cordata Cai.
Da più parti vi si chiede di fare un passo indietro e di accettare la proposta della Cai. Siete disposti a farlo?
Non potremmo firmare un accordo a scatola chiusa senza aver mai discusso un contratto. Voglio ricordare che per il personale di terra la contrattazione è durata 25 minuti, per gli assistenti di volo 35, per i piloti poco più di un’ora. Questa è stata tutta la trattativa sui contratti. Dall’altra parte c’erano poi Sabelli e l’avvocato Marazza che di contratti (dal punto di vista tecnico, non giuridico) non sanno nulla. Quindi non avevamo nemmeno gli interlocutori per poter trattare: siamo stati messi di fronte a un “prendere o lasciare”.
Da più parti si dice che alcuni lavoratori non sono d’accordo con le vostre scelte. È vero che esiste una frattura tra il sindacato e la base?
È assolutamente falso. Queste insinuazioni fanno probabilmente parte della pressione che si sta cercando di fare sui sindacati. Si sono visti, per esempio, in televisione alcuni piloti della Cisl che chiedevano di firmare la proposta Cai; tuttavia la Cisl rappresenta ormai 40-50 piloti. Anche quando l’Anpav ha dichiarato di essere disponibile a firmare l’accordo quadro, si è detto: “Gli assistenti di volo hanno detto sì”. Ma l’Anpav rappresentava 400 persone, oggi credo meno della metà.
Anche nel personale di terra non ci sono grosse divisioni.
Questo “scontro tra lavoratori” è quindi costruito artificialmente, non esiste. Anzi c’è un corpo sano dei lavoratori che sta dicendo no, sapendo di rischiare, perché pensa che in gioco non ci sia solo un contratto, ma anche un minimo di dignità e di consapevolezza di come si vuole essere rappresentati.
Cosa pensa della proposta di un referendum tra i lavoratori?
Noi siamo un sindacato di base, quindi per noi il referendum è sacro. Rimane il fatto che in alcuni casi i referendum sono fatti apposta per spaccare i lavoratori a metà. Mi spiego: si sa già chi è più sicuro di rimanere in azienda con il piano Cai e chi invece verrebbe licenziato o si vedrebbe ridotto pesantemente lo stipendio.
Quando si tratta di occupazione, di licenziamenti, non si può parlare a cuor leggero di referendum, altrimenti si entra nella logica “mors tua, vita mea”.
Inoltre, questa proposta è stata lanciata da quelle organizzazioni (Cisl e Uil) che il referendum non lo fanno mai (a differenza nostra e della Cgil).
È però evidente una frattura del “fronte sindacale”. Pensa che questa inciderà anche su altre contrattazioni?
Penso proprio di sì. La Cgil avrà qualche problema rispetto ad altre realtà (pubblico impiego, scuola e industria, dove già i problemi esistono).
Il problema grosso è – ripeto – la trattativa tra Cgil, Cisl e Uil da una parte e Confindustria dall’altra sul modello contrattuale e sul modello di rappresentanza.
Giovedì, insieme ad Anpac, Unione Piloti e Avia, avete annunciato di voler mettere a disposizione parte dello stipendio e l’intero montante del Tfr (in totale circa 340 milioni) per supportare qualunque progetto serio e credibile per il rilancio di Alitalia. Qual è il senso di questa proposta?
La nostra proposta era già stata ipotizzata e valutata alcuni giorni fa, prima del ritiro dell’offerta da parte di Cai, non si tratta di un’uscita estemporanea.
Essa vuol essere un atto concreto del sindacato e quindi dei lavoratori verso chiunque ritiene che sia possibile costruire un piano industriale degno di questo nome, che preveda la tutela del lavoro, ma soprattutto lo sviluppo della compagnia.
Il vostro apporto economico non rischia di essere una “goccia in mezzo al mare”?
Certamente si tratta di una proposta che non può camminare esclusivamente con le proprie gambe, però ha un valore immateriale fondamentale: se il lavoro è disposto a mettere le risorse in un progetto, è evidente che chiunque voglia costruire un progetto di rilancio sa che il fattore lavoro ci sta, e sarà partecipe di questo progetto.
È evidente che con il ritiro ufficiale di Cai e con il continuo disco suonato da governo, mass media, forze politiche (anche di centrosinistra) “O Cai, o fallimento”, la nostra proposta non assume solo termini simbolici ma anche concreti.
Finora che riscontri avete avuto dalla vostra proposta?
Ci sono già contatti con soggetti industriali e finanziari, sia dall’estero che dall’Italia.
È chiaro però che nessuno di questi soggetti (e nemmeno noi) può entrare in un’azienda come Alitalia se non ha il benestare del Governo. Questo sinceramente è poco corretto dal punto di vista del mercato, anche perché il Governo ormai non dovrebbe centrare nulla con la soluzione della crisi, dato che è stato nominato un Commissario Straordinario. È lui che dovrebbe poter decidere determinate cose. Invece, al momento, il Governo ha ancora la possibilità di porre un veto politico a qualsiasi soggetto che si mostrasse interessato.
I lavoratori continueranno a garantire il servizio ai passeggeri?
Nonostante la situazione drammatica e le provocazioni che subiamo, abbiamo detto ai lavoratori che era necessario che assicurassimo la sicurezza e la regolarità dei voli. E questo è accaduto senza problemi in questi giorni.
Qualsiasi smottamento rispetto a questa situazione sarebbe dannoso, perché la continuazione aziendale è per noi fondamentale in questo momento.
Purtroppo per altri non è così.
Cosa intende dire?
Quando tutti i giorni esponenti del Governo e della politica (oltre che i mass media) dicono che restano pochissimi giorni di vita per la compagnia, è chiaro che i passeggeri non prenotano più biglietti.
Questo fatto è gravissimo e potrebbe costituire reato. Faremo delle verifiche più avanti quando usciremo, speriamo sani, da questa situazione.
A questo punto per la compagnia non resta che una nuova offerta o il fallimento. Lei come vede la situazione?
È chiaro che per fare in modo che un soggetto interessato si faccia avanti servirebbe un periodo maggiore di quello preventivato. Noi riteniamo che le disponibilità economiche comunque esistano, anche se si assottigliano. Ma se esiste un interesse di qualche soggetto per la compagnia, il Commissario può (e avrebbe il dovere di) accendere mutui. Tra l’altro questi sarebbero considerati crediti superprivilegiati. Quindi qualsiasi banca che desse un mutuo in questa fase non avrebbe pericolo di non essere rimborsata, anche nel caso di fallimento.
Questo il Commissario lo sa e speriamo che nelle prossime ore e nei prossimi giorni ne tenga conto.