La crisi che sta colpendo le principali piazze finanziarie mondiali ed in particolare Wall Street è senza dubbio una delle più gravi e profonde della storia della finanza internazionale. Le misure implementate dal Tesoro USA e dalle Banche Centrali internazionali sono state drastiche e hanno da una parte la fine dell’era delle investment banks e dall’altra il ritorno del governo americano come attore protagonista nella scena economica, ruolo dal quale si era defilato negli ultimi anni per lasciare spazio al mercato.



In particolare il coinvolgimento diretto dello Stato in un settore in cui il mercato sembrava il protagonista assoluto ha colpito molto l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Dopo tutto gli Stati Uniti sono da sempre stati i paladini del liberismo e del ruolo limitato dello Stato nell’economia. Gli eventi recenti sembrano dunque sovvertire i canoni interpretativi a cui siamo stati da sempre abituati.



 

È importante sottolineare, tuttavia, che iniziative di questo genere, anche se sollevano molto clamore, non sono pericolose per il mercato. Le banche e le società di assicurazione così come sono state nazionalizzate potranno essere successivamente privatizzate. Allo stesso tempo il limite posto alle vendite allo scoperto è una misura temporanea per arginare la crisi di panico e di fiducia, ma è ben lungi dall’essere strutturale.

 

Al di là della positiva immediata reazione, il pacchetto di misure che Paulson e Bernanke hanno disegnato non ha convinto fino in fondo i mercati. Il motivo è che le riforme strutturali devono ancora essere implementate. Tra queste un ruolo chiave è rappresentato dal tema dei controlli, delle regole e dei poteri dei cosiddetti controllori.



 

Non dobbiamo compiere l’errore di prospettiva attribuendo la colpa della crisi al fallimento del mercato. In realtà chi ha realmente fallito sono i controllori, e i regolamentatori del mercato stesso. La Federal Reserve, da tutti considerata come la banca centrale per eccellenza, ha mostrato forti limiti nella capacità di monitorare un fenomeno così drammatico e di così ampia portata come quello che stiamo osservando. Nemmeno oggi, a più di un anno di distanza dallo scoppio della crisi dei mutui subprime, si conosce la dimensione effettiva del fenomeno e quali sono le banche o le società finanziarie che hanno in portafoglio i cosiddetti “toxic assets”. Ieri il direttore generale del FMI Strauss-Kahn ha dichiarato che le stime più recenti portano le perdite derivanti dalla crisi dei mutui a 1.300 miliardi di dollari. Considerando che ad ora le perdite e svalutazioni registrate ammontano a poco più di 500 miliardi, possiamo pensare che il peggio debba ancora arrivare piuttosto che essere passato.

 

È questo l’aspetto realmente preoccupante: come ha potuto circolare una tale quantità di titoli rischiosi senza che nessuno mostrasse preoccupazione? Il fallimento riguarda anche i controllori “di mercato” come le società di rating. Oramai si sono trasformate in medici che accertano la morte effettiva del paziente. Così come tutti noi ci aspettiamo che un medico sappia anche curare e prevenire la malattia, allo stesso modo risultano poco utili società che agiscono ex post piuttosto che ex ante nella valutazione del rischio.

 

Le vere misure strutturali partono dunque da qui. Occorre ridisegnare il ruolo ed il perimetro di azione delle banche centrali che non può essere ristretto solo all’ambito delle banche commerciali. Ma soprattutto occorre che le banche centrali, ed in particolare la Fed, riacquistino la credibilità persa in questi mesi.

 

Sino a poco tempo fa Alan Greenspan veniva ricordato come uno dei migliori banchieri centrali di tutti i tempi. Ora emergono le sue responsabilità nella crisi attuale dato che ha sempre enfatizzato il ruolo benefico della finanza nella diversificazione del rischio e nella gestione del risparmio. Il suo successore Bernanke si è trovato a gestire una crisi senza precedenti in una istituzione che ha perso buona parte della credibilità acquisita.

Bernanke è un eccellente economista ed è probabilmente la persona maggiormente indicata a svolgere il delicato ruolo di governatore della Fed in questo momento. La credibilità si acquisisce nel tempo e non può essere riconquistata con una mossa di un giorno. È un lungo percorso che è appena iniziato.