Italia e Regno Unito potrebbero percorrere un tratto di strada insieme, nella lunga rincorsa al nucleare. Ma certamente le condizioni storiche e il pragmatismo d’Oltre Manica pongono gli inglesi su di un percorso accelerato rispetto ai primi risvegli italiani.
Il premier Berlusconi il 10 settembre scorso ha dichiarato, al termine dell’incontro con il primo ministro britannico Gordon Brown, che i due Paesi collaboreranno nel settore dell’energia nucleare. Non è ancora chiaro che cosa questo significhi concretamente, si è genericamente parlato di investimenti finanziari tricolore nelle nuove centrali nucleari inglesi, in cambio di know how.
Ma prendere spunto dall’esperienza che stanno vivendo gli inglesi può essere una strategia molto utile per il tentativo nostrano di riannodare i fili del nucleare.
Innanzitutto per l’impostazione generale. L’approccio britannico prevede in particolare che lo Stato si faccia carico di predisporre “the right framework, for private sector investment in nuclear, in the public interest”. La strategia deve avere convinto il Ministro Scajola, se lo stesso nel suo ultimo intervento sul quotidiano MilanoFinanza del 27 settembre scorso, ha deciso di scrivere “(…) il governo creerà le condizioni di contesto che consentiranno ai privati, in una logica di mercato, di effettuare gli opportuni investimenti (…)”, convinto che “(…) sia necessario assicurare benefici concreti direttamente ai cittadini e alle imprese (…)”. Ben vengano allora gli investimenti italiani nel Regno Unito (prevedibilmente ciò significa Enel, come avvenuto in Francia, o anche Eni), ma oltre al know how utile per l’elettroproduttore occorrerà “importare” altre conoscenze ed imitare altre azioni.
Ad esempio, quelle legate alla rivisitazione degli aspetti legislativi, normativi ed organizzativi. Nella corsa alla riduzione di tempi e costi del nucleare, non ci sono solo fattori tecnologici in gioco (vedi discussioni sui reattori di III o IV generazione). I tre aspetti citati sono decisivi e non coinvolgono solo la fase di costruzione di una centrale, ma anche e in particolare le fasi precedenti e successive alla stessa. L’effetto di queste fasi sull’investimento, dal punto di vista finanziario e industriale, è notevole. Per questo molti paesi interessati a riavviare il nucleare hanno deciso di rivedere le normative e le procedure per accelerare il processo autorizzativo. Soprattutto per le fasi di licenza di sito, costruzione e gestione operativa.
Anche il Regno Unito ha riconsiderato la propria struttura autorizzativa, quale primo passo fondamentale al termine di un periodo di analisi e valutazione (l’operazione “KNOO-Keep Nuclear Option Open” nel triennio 2003-2006), concluso con l’emissione del report “The Energy Challenge” con il quale riconosce nella sostanza il ruolo del nucleare nel contribuire a rispondere alle impellenze energetiche, incoraggiando il settore privato a procedere nella ripresa.
L’impegno a predisporre una “struttura adeguata”, che possa mettere gli investitori nelle condizioni più idonee a sobbarcarsi il rischio di tale impresa, parte quindi con la ridefinizione del processo autorizzativo. Similmente a quanto fatto negli USA, la decisione circa l’investimento e la costruzione può essere adottata al termine di due fasi, nelle quali sia il sito che il reattore sono stati approvati dall’Autorità di Sicurezza Nucleare e l’impegno ha ricevuto il necessario consenso politico e sociale. La stima inglese prevede che entro un quinquennio sia possibile arrivare all’avvio della costruzione dei primi nuovi impianti.
A maggior ragione per l’Italia, digiuna di cose nucleari da oltre un ventennio e con le strutture anche legislative un po’ arrugginite, una profonda rivisitazione della sua organizzazione normativa e dei suoi processi autorizzativi sul nucleare è di fondamentale importanza, e sarebbe auspicabile l’imitazione e l’adattamento alla realtà italiana di una strategia simile a quella adottata da USA e UK. Non solo per le fasi di licenza di sito e centrale, ma anche sulla fase di licenza del progetto di reattore, pur assumendo per l’Italia la costruzione di reattori di III generazione e quindi di progetti già eseguiti e passati al vaglio di Autorità di Sicurezza di altri paesi. Dal punto di vista legale, anche per alcune convenzioni internazionali, la responsabilità di riconoscerne la sicurezza è comunque materia di sovranità e responsabilità nazionale. Per accelerare i tempi, tuttavia, sarebbe da percorrere un accordo internazionale con le Autorità di Sicurezza di alcuni paesi-chiave nella tecnologia nucleare (USA, Regno Unito, Francia), che potrebbero condividere il lavoro di verifica dei progetti svolto in questi anni. Una tale strategia è già stata attivata dagli USA: la NRC (Nuclear Regulatory Commission) consente il Multi-national Design Evaluation Programme (MDEP), ovvero lo scambio di informazioni tra regolatori sulle valutazioni di sicurezza di alcuni progetti. La stessa Autorità inglese HSE (Health and Safety Executive), certamente più addestrata ed organizzata rispetto all’Italia, partecipa insieme ad altre a questo programma. Attualmente il Regno Unito sta valutando, e molto probabilmente assegnerà loro la licenza, tre progetti di reattori cosiddetti di III generazione (AP1000-USA, EPR-FRA, ESBWR-USA).
Infine, è notizia recente l’acquisto di British Energy da parte di EdF per 15,6 miliardi di euro. La vendita della società energetica inglese, partecipata al 36% dal governo, rientra nel piano di ristrutturazione del settore nucleare e di risoluzione del problema del decommissioning dei vecchi reattori nucleari AGR. Dalla vendita della sua share, infatti, lo Stato ha ottenuto 4,4 miliardi di sterline, a fronte di un investimento di 275 milioni nel 2005 per la ristrutturazione di BE. Il guadagno ottenuto, insieme ad altre valorizzazioni di assetti di BE, può ben coprire il costo di smantellamento dei vecchi impianti, senza oneri aggiuntivi per i cittadini.
Certamente uno dei valori più importanti di BE è il possesso degli 8 siti nucleari sui quali sorgono altrettante centrali, alcuni dei quali sono tra i più idonei per la costruzione dei nuovi reattori nucleari inglesi. Ma il governo britannico, per motivi di concorrenza e mercato, ha espresso l’interesse per la presenza di almeno due operatori nucleari sul territorio e la realizzazione di almeno due diverse tipologie di reattori. Un suggerimento da considerare anche per la strutturazione del futuro mercato italiano.
Circa la strategia complessiva per l’Italia, si valuteranno a breve le prime decisioni parlamentari, con la definizione del disegno di legge 1441 in materia di energia. Sperando che parlino un po’ inglese.