Se ne parlava da tempo negli ambienti finanziari italiani. Una volta sistemata la partita di Mediobanca e poi quella di Alitalia, il dossier””caldo” sarebbe stato quello di Telecom Italia. E in effetti, lo scorso giovedì 25 settembre, si è svolto uno dei consigli di amministrazione tra i più espliciti e indicativi del colosso telefonico italiano.



L’amministratore delegato, Franco Bernabè, ha annunciato che ci sono investitori che hanno bussato, senza essere interpellati, alla porta di Telecom. Sono state confermate a questo punto tutte le voci delle settimane passate: l’ingresso di Fondi sovrani, in primo piano della Libia, ma anche quello di alcuni Emirati e, secondo ultimissime indiscrezioni, ci sarebbero anche investitori russi di rilievo. Anche se il via libera deve essere ancora stabilito e soprattutto deve essere fissato il nuovo prezzo delle azioni.



Nello stesso consiglio di amministrazione del 25 settembre, Bernabè ha parlato di un processo di sistemazione della rete in sintonia con le Authority di controllo. Come avvenga questa sistemazione dell’asset più importante di Telecom non è ancora chiaro. C’è chi parla di uno scorporo gestito da una società autonoma. C’è chi parla di una parziale vendita della rete. In tutti i casi, Franco Bernabè ha dato un appuntamento preciso: dopo il consiglio di amministrazione del 2 dicembre prossimo, sarà presentato ai mercati il nuovo piano industriale. Ed è evidente che per quella data, si conosceranno i nuovi assetti azionari, i nuovi soci e inoltre si avrà un’indicazione più sicura del futuro della rete di Telecom



Con tutta probabilità, nessuno valuterà l’importanza del rilancio di Telecom come un successo del Governo di centrodestra, pari a quello della “spazzatura” napoletana o a quello di Alitalia. Ma se si guarda bene in controluce questa vicenda, si comprende che una Telecom arricchita da nuovi investitori, con un aumento di capitale consistente, una sistemazione della rete e una plancia di comando sempre italiana, sarebbe un altro colpo notevole per il consolidamento del Governo Berlusconi, unito a un nuovo assetto di potere finanziario in Italia.

Non è un caso che sia stato proprio il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a dare l’annuncio di una Telecom italiana, ma con nuovi capitali dovuti a investitori stranieri, prima ancora del management della società, durante la sua ultima apparizione a Porta a Porta, rispondendo a una domanda “improvvisata” che nulla c’entrava con il tema in discussione, in quei giorni tutto concentrato sulla bagarre Alitalia e la rissa con la sinistra. Con quell’annuncio a sorpresa, Berlusconi dimostrava di voler chiudere il cerchio di una partita cominciata esattamente due anni fa, nel settembre del 2006, quando il neonato Governo di centrosinistra, guidato da Romano Prodi, aveva predisposto un “piano artigianale” stilato da Angelo Rovati, che costringeva Marco Tronchetti Provera a dimettersi dalla presidenza di Telecom e poi di programmare il suo disimpegno dalla società.

Si apriva in quel momento una lunga partita che è intrecciata di politica e di finanza, cioè di potere. L’azienda del futuro, la produzione del futuro, cioè il mondo delle telecomunicazioni, era il vero terreno di scontro tra due parti del Paese. Se ben si ricorda, dopo il settembre del 2006, Telecom entrava quasi in una fase di “gestione straordinaria”. Bisognava aspettare quasi otto mesi per l’ingresso della spagnola Telefonica e la costituzione della holding Telco (azionista di riferimento con oltre il 25%) costituita, oltre a Telefonica, dalle realtà finanziarie più importanti del Paese: Generali, Mediobanca, Intesa-San Paolo e Sintonia della famiglia Benetton.

Poi ci fu un piccolo “incaglio” nella scelta del management. Non tanto sulla presidenza di Gabriele Galateri di Genola, quanto di Franco Bernabè, che in Telecom era già stato e che sembrava un personaggio di tutto rispetto professionale ma di simpatie di centrosinistra.

Poi c’è stato un altro “incaglio”: la grande crisi finanziaria che ha fatto crollare tutti i titoli delle Borse occidentali e ha più che dimezzato il valore di quello di Telecom. Si pensi che gli spagnoli di Telefonica hanno acquistato a 2,8 euro quello che oggi vale 1,12 euro. Gli stessi soci italiani di Telco stanno oggi facendo i calcoli della minusvalenze da mettere a bilancio.

Eppure, come effetto di un grande paradosso, questa stessa crisi finanziaria sembra essere stata funzionale a un progetto. Mentre gli spagnoli si trovavano quasi “imbavagliati” e nervosi per le perdite in Borsa, Bernabè ricuciva i rapporti con gli uomini del nuovo Governo di centrodestra e soprattutto con un playmaker internazionale del mondo della comunicazione e della finanza: il franco-tunisino Tarak Ben Ammar, presente in Mediobanca e in Telecom, vicino a uomini come Rupert Murdoch, Vincent Bollorè e lo stesso Silvio Berlusconi.

Sarà certamente un caso, ma in Mediobanca esiste da tempo, in qualche cassetto, un vecchio piano che prevede vari livelli di sinergia tra Mediaset e Telecom. Si va addirittura dalla fusione a diversi gradi di sinergie. Non è complotto pluto-giudaico-massonico, ma l’indicazione ipotetica di una sinergia produttiva tra il cellulare e la televisione, che in Italia ha soprattutto in Telecom e in Mediaset le due realtà più rappresentative.

Non si tratta ovviamente al momento di pensare, alla prossima nascita di Mediacom, come qualcuno ha avanzato. Anche perché la moltiplicazione dei conflitti di interesse supererebbe quella “dei pani e dei pesci”. Si intravede però, dalle indicazioni di Berlusconi e dello stesso Bernabè, quella che si può chiamare una “soluzione di sistema” per Telecom. Stoppata Telefonica in una “complicata” offerta di pubblica acquisto (il travagliato viaggio di Cesar Allerta in Italia), si possono oggi contrapporre nell’azionariato di Telecom altri soci stranieri e mantenere il nocciolo di riferimento italiano. Se i nuovi investitori raggiungessero, in minoranza, una quota tra il 10 e il 15 per cento, nella casse di Telecom arriverebbero capitali in grado di fare grandi investimenti, anche progetti per la rete di nuova generazione, e l’asset di Telecom sarebbe valorizzato come si conviene.

Ma non c’è dubbio che in questa “soluzione di sistema” la mano del Cavaliere diventerebbe di grande importanza. Bernabè ha tessuto un abile “tela di ragno”, forse consigliata dal vecchio amico Francesco Cossiga. Cesare Geronzi si è riservato, per statuto, di decidere sull’affare Telecom. Tarak Ben Ammar, condivide il disegno di Geronzi ed è amico e socio in società televisive con Silvio Berlusconi.

Chi avrà a questo punto una parola decisiva nell’ambitissimo mercato delle telecomunicazioni in futuro? Chissà se Walter Veltroni è più nervoso per la partita Alitalia o per quella di Telecom . Certo che le ultime stizzite dichiarazioni di Veltroni sulla presenza di Marina Berlusconi nel consiglio di amministrazione di Mediobanca sono una rivelazione di stato d’animo non positivo. Niente di particolare. Questione di potere vero. Se “mondezza” e Alitalia fanno audience, Telecom è uno dei “noccioli della questione”.