Il caso peggiore e per questo improbabile si è realizzato: il piano di salvataggio del sistema bancario statunitense è stato bocciato alla Camera. Nei momenti critici il sistema politico statunitense è sempre riuscito ad anteporre l’interesse generale a quello partitico, ideologico o particolare. Ieri molti deputati democratici e repubblicani hanno espresso un voto o ideologico oppure legato al loro interesse di non deludere i loro specifici elettori nel collegio. L’elettorato democratico è convinto che il piano salvi solo Wall Street, non vede la connessione tra crisi del credito e recessione in “Main Street”, e non vuole dare i soldi ai “ricchi”. L’elettorato repubblicano è convinto che il mercato non ha bisogno di salvataggi governativi e rifiuta un piano percepito come “socialismo finanziario”.



I rappresentanti politici di questi due elettorati, visto il clima elettorale, non hanno avuto la convenienza di spiegare ai loro elettori che il piano serviva e serve ad evitare una catena di eventi che alla fine avrebbe creato fallimenti, disoccupazione e distruzione dei risparmi cumulati per la pensione. Hanno seguito la pancia dell’elettorato, per altro non ben informato dai media che hanno calcato gli aspetti politichesi più che quelli tecnici. La leadership del Partito democratico, che ha la maggioranza sia alla Camera sia al Senato, non ha avuto il coraggio di dire: abbiamo la maggioranza, è nostra responsabilità. Ha invece voluto far passare l’idea che il piano d’emergenza era il risultato di un fallimento dell’Amministrazione Bush e che quindi i democratici stavano facendo un favore ai repubblicani nell’accettare un compromesso sul piano. Follia. Ma è successa. Ed è successa inaspettatamente in America. Suk e caos. 



Cosa succederà? Se i mercati avranno un tonfo perché temono la crisi bancaria ed il congelamento del credito, gli stessi politici che hanno votato contro cambieranno idea per non farsi imputare di “disastro economico”? E i mercati saranno incentivati a peggiorare i numeri proprio per mettere la politica sotto pressione? Quanto il sistema può ancora tenere? Oggi non possiamo rispondere. Ma è probabile che alla fine un qualche piano passerà e che ciò ristabilizzerà, in parte, le cose: il segnale di incapacità gestionale statunitense, non solo politica, renderà più lunga e difficile la ricostruzione della fiducia nel mercato globale ancora centrato sull’America.



L’Europa ha tenuto, Stati e Banca centrale pronti e determinati nel seguire la regola aurea della fiducia nell’economia finanziarizzata: prima salva, poi discuti. Prima la fiducia, poi le dita possono puntare alle responsabilità. In America le dita accusatrici sono prevalse a causa del clima elettorale e di una mancanza di leader robusti. Ma se salta il sistema finanziario americano anche l’Europa farà fatica a tenere.

In cosa possiamo sperare? In un ritorno al realismo da parte dei politici americani, giovedì prossimo quando il Congresso riaprirà, speriamo prima. In un piano migliore di quello proposto da Paulson, tecnicamente ridicolo anche se sostanzialmente salvifico. In particolare i 700 miliardi di dollari avrebbero migliore effetto e minore rischio se fossero usate per comprare, temporaneamente, azioni delle banche sotto stress permettendo la loro ricapitalizzazione e conseguente assorbimento delle perdite dovute ai prodotti finanziari carichi di insolvenze. Un buon segnale è stata la velocità con la quale Stati e banche centrali si sono coordinate per i salvataggi. Si percepisce la formazione di un nuovo livello internazionale di salvatore di ultima istanza e ciò rassicura, anche se quello americano si è indebolito.

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