L’Europa dei mercati trema, dopo essersi illusa per oltre un anno di aver poco da temere, rispetto alla devastante portata della scomparsa delle banche d’investimento americane, e della loro finanza ad alta leva e bassa congruità patrimoniale. Non è così, perché il panico che si riverbera in tassi interbancari che salgono a vette improvvise scopre improvvisamente non solo grandi banche europee che hanno attivi patrimoniali poco performanti, ma anche quelle che magari hanno semplicemente problemi temporanei di liquidità e di gestione di tesoreria.
Capita così che Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania e Francia varino in poche ore una vera e propria raffica di nazionalizzazioni di grandi nomi del credito. Per i sostenitori a oltranza della diffidenza verso lo Stato in nome della maggior bontà della finanza privata, c’è di che riflettere.
Per l’Italia, però, c’è una riflessione aggiuntiva. Da noi lo Stato è stato negli ultimi decenni, dopo una storia diversa nell’immediato dopoguerra, un pessimo “padrone”. La drammatica vicenda della troppo a lungo protratta agonia di Alitalia ne è stata solo l’ennesima, ultima conferma.
E a questo punto una domanda affiora nella testa di molti. Non è che si debba per caso temere a questo punto una nuova Alitalia? Chi possono essere, i candidati? Le Ferrovie? Le Poste? La mia risposta è no. Tornerò su Ferrovie alla fine, per spiegare perché no. Se volete aggiungo anche un: purtroppo. Perché ha avuto più effetto l’agonia di Alitalia, nel dimostrare a milioni di italiani che con i vizi e gli sprechi pubblici non si può più andare avanti, ma bisogna invece lasciar spazio a chi sa e vuole fare, di mille editoriali mercatisti sul Sole e sul Corriere della sera. A essere onesti, bisognerebbe dire: è la Tirrenia, il vero candidato all’Alitalia-bis. Ma temo che la sua vicenda non sarà in grado di mobilitare tensioni e attenzioni proporzionate.
Tirrenia perde da anni, anzi da decenni. Franco Pecorini, 67 anni, ne è l’amministratore delegato da 24 anni, e il centrodestra l’ha confermato a luglio per altri tre. Un errore, a mio giudizio. Pecorini è sopravvissuto a 18 governi. Non ho niente contro di lui. Moltissimo contro la sua mentalità da vecchie partecipazioni statali. Una mentalità che gode di consensi trasversali a destra come a sinistra. Per una volta sono d’accordo con Renato Soru, il presidente della Sardegna per il quale la lobby-Tirrenia si compone «del sindacato, delle società che hanno appalti dalla compagnia, dal catering alla manutenzione, fino a tanti altri affari che definirei privati».
Ha perfettamente ragione la Confitarma, l’associazione degli armatori privati, da anni scandalizzata nel trovarsi come concorrente nella navigazione cabotiera un carrozzone finanziato dal contribuente. Tutti i grandi armatori privati italiani, dal presidente Nicola Coccia ad Aldo Grimaldi, da Vincenzo Onorato a Gianluigi Aponte, la pensano allo stesso modo. Ha ordinato, ad esempio, alla fine degli anni Novanta quattro traghetti superveloci per centinaia di milioni di euro, che si sono rivelati anti-economici e che costa meno a tenerli fermi (solo uno è ancora operativo, in noleggio).
La sua flotta, articolata nella varie società Siremar, Caremar, Saremar e Toremar, macina sui 200 milioni di euro di perdite l’anno, ed è indebitata con le banche per oltre il 120% del fatturato, contributi pubblici compresi. Alitalia, col suo miliardo di debiti rispetto ai 5 di fatturato, era una perla in confronto. Nel 2007 ha perso circa 73 mila euro a dipendente (considerando in 2.836 il numero medio di personale retribuito): la perdita di Alitalia, nello stesso anno, è stata nell’ordine di «soli» 25mila euro per dipendente. Naturalmente, il conto per Tirrenia è fatto al netto degli aiuti di Stato. Per via del collegamento del continente alle isole, Tirrenia riceve i denari dei contribuenti che ricoprono di fard le rughe dei suoi bilanci. Diversamente, sarebbero in profondo «rosso» e pronti per il tribunale.
La convenzione con lo Stato scadeva a fine anno. Ma ci si è affrettati a chiedere una proroga sino al 2012. Il governo ha inserito Tirrenia nel Dpef tra le privatizzazioni possibili. Ma i sindacati naturalmente puntano i piedi. E Pecorini ridacchia sotto i baffi.
È un peccato capitale, perdere altro tempo.
Ferrovie con la semestrale 2008 ha fatto un altro passo verso il pareggio di bilancio, con 178 milioni di perdite che migliorano di 1 miliardo quelle di metà 2006, e di 100 milioni quelle di metà 2007. È ancora un disastro, ma non è più un buco nero. Trenitalia, la società di trasporto passeggeri, ha oggi un risultato operativo in sostanziale equilibrio, e un risultato netto in rosso di 138 milioni nei primi sei mesi, di molto migliorato rispetto ai meno 319 di metà 2007, e ai meno 1.22 mld del primo semestre 2006.
In realtà, l’azionista pubblico dovrebbe dare retta all’ingegner Moretti: fargli separare nettamente le attività da svolgere a condizioni di mercato in concorrenza coi privati, facendogli anche quotare in Borsa Eurostar per approvvigionarsi di capitali sull’Alta Velocità, da quelle da condurre per “servizio pubblico”. Ma se queste non vengono pagate da Stato e Regioni, la via è la soppressione a favore di altre modalità di trasporto. Inutile tenere oltre 200 stazioni servite dal servizio cargo, quando è solo in Padania che esso frutta : e non a caso Deutsche Bahn vi entra.
Non parlo poi degli utili record di Poste, 844 milioni nel 2007 con lo stesso servizio postale finalmente a Ebit positivo per la prima volta per 121 milioni, anche se il più dell’Ebit viene dai servizi finanziari con ben 1,4 miliardi.
Il problema è che una politica “seria” si sarebbe posta anni fa, la scelta di far fare a Poste o Ferrovie una vera piattaforma logistica nazionale che a noi continua a mancare. In Europa, oggi, sono le compagnie aeree come Air France a investire sull’Alta velocità ferroviaria integrata e intermodale con gli aeroporti. E poste come la Tnt, a fare logistica.
Lo Stato azionista ha lasciato Alitalia al suo destino senza scelte d’integrazione e conti in ordine. Fa lo stesso con Tirrenia. Non separa pubblico e privato in Ferrovie. E a Poste non fa fare né logistica, né una vera concorrenza al sistema bancario privato.
La Merkel ha appena ceduto il ricco braccio finanziario delle poste pubbliche a Deutsche Bank. I modelli, insomma, sono diversi, ma ci sono. Noi non ne seguiamo alcuno, e continuiamo a far pagare al contribuente.