Le notizie trapelate sui media sul piano Fenice di Intesa SanPaolo, da cui dovrebbe nascere in autunno la nuova Compagnia Aerea Italiana, continuano a suscitare dubbi e perplessità. Si teme che ancora una volta si realizzi quanto già più volte accaduto in Italia: la crisi di un’impresa pubblica e il suo necessario salvataggio costituisce l’occasione per attribuire vantaggi sostanziosi a pochissimi “fortunati” a fronte di costi aggiuntivi spalmati sull’intero universo di contribuenti-consumatori, che proprio per la loro elevata numerosità subiscono un costo individuale tutto sommato sopportabile e non tale da indurli a fare la “rivoluzione”.
Il piano Fenice, come è ben noto, comprende anche AirOne, il secondo vettore nazionale, che non se la passa granché bene. Ha già accumulato un ammontare di debito elevato (in relazione alla sua dimensione) ormai non così distante da quello di Alitalia. Stante la difficoltà oggettiva di soddisfare le condizioni di sopravvivenza economica nel trasporto aereo in questa congiuntura, AirOne rischia di non farcela in un prossimo futuro a reggere da sola sul mercato. L’operazione avrebbe dunque il pregio, a ben vedere, di salvare tutti e due i nostri principali vettori nazionali.
Gli imprenditori che hanno deciso di investire nella nuova Compagnia Aerea Italiana, che rileverà la parte “buona” di Alitalia ed AirOne, si stanno per accollare un certo rischio di impresa, ma riceveranno altresì condizioni di favore da parte del nostro governo (che per farlo non esita a “buttare a mare” principi da poco consolidati nel nostro ordinamento quali anzitutto quello del vaglio antitrust a livello nazionale). Infatti, oltre al vantaggio per cui l’AGCM non esaminerà il caso, è stata modificata la legge in modo tale che essi siano più liberi di acquisire gli asset più appetibili dall’azienda commissariata; inoltre sarà il governo ad affrontare lo spinoso problema degli esuberi e degli eventuali rimborsi sulle obbligazioni Alitalia in circolazione, gli ormai famosi Mengozzi bonds.
Il nuovo Commissario Europeo ai Trasporti, non a caso l’italiano Tajani, si impegnerà a fondo per evitare che la Commissione Europea ponga problemi sul prestito-ponte di 300 milioni dato ad Alitalia alcuni mesi fa e già mangiato dalle perdite. Un’operazione in contrasto con la legislazione europea contro gli aiuti di Stato. L’attuale debolezza del processo di integrazione europea e quindi del potere negoziale della Commissione nei confronti degli Stati membri rende il compito meno arduo. Inoltre se i primi anni di operatività della nuova Cai, che diventerebbe una compagnia di nicchia, molto più piccola della somma attuale di Alitalia e AirOne, non dovessero andare male e si dovesse vedere un utile, sarebbe possibile vendere tra qualche tempo la compagnia ad uno dei pochi gruppi europei del trasporto aereo affermatisi nel frattempo a seguito del processo di consolidamento in corso. Tutti gli investitori realizzerebbero in tal caso una buona plusvalenza.
Dall’altro lato invece, ai consumatori-contribuenti non resta grande speranza di avere vantaggi dalla soluzione del caso Alitalia. I voli si ridurranno e le tariffe aumenteranno, soprattutto in quelle tratte dove non c’è la concorrenza delle low-cost né dei grandi vettori internazionali, anzitutto la Roma-Milano. L’unica speranza di calmierare le tariffe è riposta sul rapido sviluppo dell’alta velocità ferroviaria su quella tratta. Gli ammortizzatori sociali per la manodopera non impiegata nella nuova compagnia, i rimborsi per gli obbligazionisti Alitalia, il prestito-ponte già erogato e le perdite in conto capitale realizzate dallo Stato sulle azioni Alitalia peseranno sul bilancio pubblico e saranno quindi a carico della collettività: o più tasse o meno spesa pubblica utile per altri scopi. Inoltre vi è il costo sociale delle “deroghe” apportate sia al diritto antitrust nazionale che, probabilmente, anche alla legislazione europea contro gli aiuti di Stato. Si apre spazio perché altre imprese e/o altri stati europei in futuro chiedano deroghe ai principi della libera concorrenza. Un costo sociale futuro non indifferente.
Costa caro avere una compagnia di bandiera privata e italiana, e comunque: per quanto tempo l’avremo ancora?