L’anno appena concluso non è stato facile per l’economia e in particolare per il settore finanziario; le ingenti perdite di Borsa del 2008 saranno seguite da un anno di recessione in tutte le maggiori economie mondiali.

Il nostro Paese avrebbe bisogno di coraggiose riforme per ripartire; tuttavia in questo periodo in Italia c’è poco da avere speranza; la paura è il sentimento che prevale tra i cittadini e tra le imprese.



È di ieri la pessima notizia che arriva dagli Stati Uniti; l’Index of Economic Freedom 2009, redatto a livello globale dall’Heritage Foundation con la collaborazione in Italia dell’Istituto Bruno Leoni, vede il nostro Paese perdere ben 12 posizioni nella classifica della libertà economica.

Questo semplice numero in sé potrebbe dire poco e invece ha un significato profondo. Nel corso dello scorso anno la libertà economica in Italia è scesa al 61,4%, diminuendo sia in valore assoluto che in termini relativi con gli altri Stati e rispecchia il volto più preoccupante dell’Italia: non si riescono a fare i cambiamenti necessari per liberare l’economia.



L’indice vede dunque il nostro Paese cadere dal sessantaduesimo al settantaquattresimo posto, con una perdita di ben dodici posizioni.

I punti di debolezza sono molti e purtroppo sono storici: la libertà dallo Stato è estremamente bassa e raggiunge un valore inferiore al 25%, dovuto all’eccessiva spesa pubblica.

Si denota infatti che si è superato il 50% del Prodotto interno lordo in termini di spese dello Stato, un livello elevatissimo e che è strettamente correlato a un altro valore molto preoccupante; l’eccessiva pressione fiscale. Ne consegue che anche il livello di libertà fiscale è insufficiente, ed è pari al 54,3%. Il gettito fiscale è superiore alla media europea e supera il 42%, e come pochi giorni fa ricordava il “Sole 24 Ore”, anche il prossimo anno, il giorno di liberazione dal Fisco sarà spostato ancora avanti nel tempo, a causa del fiscal drag e della non riduzione delle tasse.



L’elevata tassazione in parte serve a ripagare i debiti che l’Italia ha accumulato negli scorsi decenni con una politica economica estremamente irresponsabile da parte della classe politica della Prima Repubblica. Il rapporto del debito sul Pil aveva superato la soglia del 120% nel corso degli anni Novanta e ancora oggi, alle soglie del 2010, il rapporto non è ancora sceso sotto il 100%.

L’elevata tassazione e la mancanza di libertà fiscale tuttavia non giustificano una distorsione dei servizi di welfare; infatti la maggior parte delle entrate servono a finanziare un sistema pensionistico estremamente favorevole alle generazioni passate.

Dal rapporto è evidente che l’Unione Europea ci aiuta in alcuni casi a essere più liberi in economia, mentre in altri casi ci penalizza; se il fatto di avere una politica monetaria a livello comunitario ci aiuta ad avere un’inflazione bassa e l’eliminazione delle barriere a livello europeo ci permette di avere dei dazi doganali non elevati, la politica agricola comune, risulta essere una distorsione notevole al mercato, che tra le altre cose affama anche i Paesi in via di sviluppo.

La libertà di investimento raggiunge un valore moderatamente positivo, ma viene sottolineato il fatto che il Governo può porre dei veti per delle acquisizioni di imprese italiane da parte degli investitori stranieri; il caso di Alitalia e la ricercata italianità è un esempio che esplica al meglio perché il livello di questa libertà avrebbe dei margini importanti di miglioramento.

Altri tre indici evidenziano dei ritardi italiani: i diritti di proprietà sono tutelati, ma subiscono la lentezza dei processi. Un’economia necessita di una giustizia veloce, perché non è possibile per un’azienda, come per un cittadino, aspettare degli anni per avere una sentenza. Rimane presente il problema della corruzione e forse gli eventi degli ultimi mesi ben rappresentano questo problema che affligge storicamente l’Italia. È presente anche una certa rigidità del lavoro che non aiuta la crescita dell’occupazione.

Il rapporto dunque sintetizza con un semplice numero tutte le debolezze dell’Italia, ma la cosa più importante, è che mostra quali sono gli strumenti necessari per uscire dalla crisi persistente che caratterizza il nostro Paese.

È bene ricordare che la crescita economica è ferma in Italia ormai da oltre un decennio e che evidentemente non sono state prese le misure necessarie per affrontare questa stagnazione.

Si potrebbe pensare che la libertà economica serva a poco, ma in realtà dalle tabelle fornite dall’Heritage Foundation è evidente che i Paesi che più sono liberi, sono stati quelli che negli ultimi anni hanno saputo accelerare la loro crescita economica.

Di esempi ce ne sono numerosi; è ora che l’Italia li segua, senza timore.

La crisi deve diventare “la scusa” per attuare le riforme che il nostro Paese attende da troppo tempo.