Il pacchetto anticrisi appena votato, ricorrendo alla fiducia, dal Parlamento ammonta a poco più di 5 miliardi, tutto compreso. Sembra una grande cifra. Ma, si sa, tutto è relativo. L’economia italiana, secondo le previsioni della Banca d’Italia, nel 2009 registrerà un Pil inferiore del 2% all’anno che abbiamo alle spalle. In cifre fa poco più di 40 miliardi, otto volte tanto il pacchetto Tremonti. E, quel che è peggio, la previsione porta con sè un’altra brutta profezia: l’aumento del fabbisogno, in parallelo con le minori entrate fiscali (più un possibile aumento dell’evasione, favorita dai malumori del Nord).



Diamo uno sguardo in Europa: il pacchetto anticrisi di Angela Merkel ammonta, per ora, a 57 miliardi circa, quasi dodici volte tanto l’Italia. Ma a questo va aggiunto il massiccio intervento nel capitale delle banche, da Commerzbank alla stessa Deutsche Bank attraverso le nozze forzate con Deutsche Post, la banca del sistema postale. Interventi ben superiori sono già avvenuti o sono in cantiere a Parigi, per non parlare di Londra o Dublino.



Passiamo sull’altra sponda dell’Oceano: le ultime proiezioni dell’Obamanomics parlano di mille miliardi di dollari, quasi 200 il “pacchettino” nostrano. Ma forse non basterà se prendiamo per buone le ultime stime di Nouriel Roubini, Cassandra finora quasi infallibile, che calcola in 3 mila miliardi le perdite finora subìte da banche e imprese a livello mondiale dall’inizio della grande crisi. Nel mondo, insomma, è sfumata una ricchezza pari ad una volta e mezza il Pil prodotto dall’Italia (che resta l’ottava economia del pianeta) in un anno.

Tante cifre servono a dimostare ciò che Tremonti sa benissimo: il pacchetto è una goccia nel mare. Se l’obiettivo fosse di ribaltare il trend dell’economia italiana sarebbe un tentativo a dir poco grottesco. Ma il ministro dell’Economia non si propone questa meta, comunque irraggiungibile. Il pacchetto serve ad assicurare un po’ di equità in più nella distribuzione di un reddito comunque in calo. Di più, sostiene tabelle del debito pubblico alla mano il responsabile dell’Economia italiana, non si può fare. Altri paesi, con un debito inferiore, possono spendere di più in chiave anticiclica. L’Italia, al contrario, rischia grosso: di qui alla fine della primavra le emissioni di Bot e Btp dovranno subire la concorrenza nuova e feroce di altri emittenti pubblici, perché quest’anno un po’ tutti, dalla Gran Bretagna alla Spagna passando per la Francia e tutti gli altri chiederanno quattrini ai mercati. E l’Italia, per garantire la sua presenza nell’area euro, dovrà pattinare sul ghiaccio, sperando che la crisi di qualche vicino ancor più povero (vedi la Grecia) non provochi il collasso del sistema.



In questo caso, per rifarci alla battuta del ministro, sarebbe davvero un ritorno al Medio Evo. Meglio, insomma, fare un passo indietro, adattarci ad una caduta del Pil ai livelli del 2006, se verranno confermate le stime di Banca d’Italia. Piuttosto che rischiare un’emorragia di capitali e di fiducia dalle conseguenze devastanti. Non ci sono alternative? Forse sì, se è giusta la diagnosi del professor Giavazzi: se l’Italia avviasse le riforme strutturali necessarie, rivedendo il welfare state in chiave più adeguata alla realtà attuale (rinunciando a parte dello Statuto dei lavoratori ma non solo) e allungando l’età lavorativa a 65 anni, i mercati accetterebbero un momentaneo aumento del deficit e del debito (a fronte di investimenti oltre che del costo delle riforme) premiando l’improvvisa saggezza nostrana.

È un quadro realistico? Forse. Ma in ogni caso, e su questo è difficile contestare la diagnosi di Tremonti, la ripresa non potrà che coincidere con un rilancio dell’economia mondiale a cui l’Italia potrà contribuire solo in misura ridotta. Ma di cui potrà beneficiare solo se saprà adeguarsi ad un quadro competitivo sempre più esasperato. È dubbio, in questo senso, che un pacchettino fatto di pornotax, rimborsi per pannolini ed ammortizzatori di gran lunga inferiori alle speranze ed alle attese, possa rappresentare un punto d’arrivo. Il passaggio è stretto perché, tra l’altro, il rischio di una protesta delle amministrazioni locali, assediate da impegni crescenti con entrate calanti, è evidente. Senza dimeticare un quadro internazionale rovente. Per evitare il Medio Evo politico occorre che quel 2% di Pil in meno venga recuperato in efficienza e minori sprechi, visto che di entrate in più non se ne parla.