Adesso che il 2008 se ne è andato, che è finalmente alle spalle, è cosa buona e sensata fare due conti e mettere in fila uno dopo l’altro errori, responsabilità, vizi e vischiosità che ci hanno portati fin qui. Cioè dentro la recessione globalmente più estesa che mente umana vivente ricordi, con le banche nella palta, le aziende senza fiato, i lavoratori dipendenti con l’ansia del futuro e quelli precari con l’incubo del welfare – inteso ovviamente come assenza dello stesso. Come se non bastasse, con un sistema economico da rimettere in sesto e modelli di sviluppo da reinventare.



Compito mica così facile come ci vogliono far credere. Perché se la paura può anche richiamare la speranza, la fifa invece ti lascia lì con le gambe molli e le ginocchia tremanti. E non è che il pianeta abbondi di scuole o maestri attrezzati a capire e interpretare il nuovo che è già qui.

Così ci proveranno in tanti – nuovi e vecchi soloni – a dire quello che va detto, se non lo hanno già fatto. Ad esempio che col 2008 possiamo mandare a casa tutti quelli che consideravano Alan Greenspan un genio e la spavalderia compiacente della Fed un esempio da importare. Prepensionare quelli che leggevano l’indipendenza della Bce e le tante rigidità europee come segni di un inevitabile declino europeo. Ridicolizzare chi giudicava i megapremi ai top manager per le belle trimestrali come il giusto premio al talento finanziario. Sanzionare chi valutava il basso indebitamento delle famiglie italiane come un sintomo di arretratezza, i costi più elevati delle nostre banche e i troppi sportelli in giro per il Paese un esempio di ritardo, la sobria prudenza un sinonimo di stupidità, la spregiudicatezza avida un segno di vitalità.



Se ne diranno tante di cose, alcune giuste, altre meno, su come andrebbero realizzate le fondamenta per l’edificio del nuovo anno. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo un piccolo desiderio personale. Un’umile richiesta che non serve a delineare sviluppo, ma solo ad evitare che tra tanti problemi almeno gli sforzi per ripartire avvengano in un clima meno avvelenato. Cioè che da qui in avanti venisse messa la sordina – per decreto o con una altra finanziaria da 9 minuti – alle associazioni dei consumatori. Non tutte, per carità, ma certamente la stragrande maggioranza di esse, quelle più attive e baldanzose comprese le loro casse di risonanza mediatiche. Perché con quello che ci aspetta, di tutto c’è bisogno salvo che di stare ad ascoltare seminatori di zizzania, elargitori di falsità, avvelenatori del clima sociale, distruttori di fiducia e spargitori di negatività, rabbia e pessimismo.



Esagerazioni? Ma va! Pensate a come sarebbe utile censurare quei fini analisti del consumo sempre pronti a informarci che se l’inflazione sale è perché i produttori ladrano, i distributori fanno la cresta e i commercianti affamano il popolo, mentre se l’inflazione scende è solo perché il dato è truccato oppure perché c’è la crisi – bella scoperta – e allora non si consuma più. O quanto utile sarebbe non dover sentire più che se il petrolio aumenta spenderemo 100 euro aggiuntivi per fare il pieno, mentre se il greggio cala purtroppo la benzina costa, chissà perché, sempre 6 centesimi di troppo, anche se non c’è alcun grafico che lo dimostri. Non dover più leggere che in autunno ci aspetterà la solita stangata da 1.700 euro a famiglia, ma non si capisce mai di quale famiglia si parla, di che città, se paga le tasse, quante ore lavora, in che casa vive e quante auto ha. O che il caro libri di testo non ci permetterà più di andare coi bimbi a Gardaland e nemmeno al multiplex la domenica. O che in estate l’esodo potrebbe costare meno se avessimo più distributori selfservice e nessun benzinaio nel raggio di 20 km da casa. O che se il grano cala, allora il panettiere deve regalare la rosetta, mentre se il grano aumenta, invece, il fornaio, che comunque usa la farina e non il grano, deve essere liberalizzato. Che se le famiglie si indebitano per comprare cellulari, decoder, tv piatte, phon e iPhone è perché tirano la cinghia e non ce la fanno più. Che i mutui a tasso variabile sono una truffa quando salgono, ma un diritto acquisito quando scendono, e che le banche devono regalare il denaro a tutti senza guardare al rischio, ma poi se falliscono è colpa del sistema.

Pensate allora che anno un po’ meno velenoso sarebbe se almeno, tra notizie di cassa integrazione e di aziende in ristrutturazione, non dovessimo più assistere allo spettacolino che i Consumatori con la maiuscola inscenano ogni qualvolta l’Istat elabora un dato, ma sapere invece di manifestazioni per ottenere più asili nido e a tariffe inferiori o per pagare meno tasse se hai figli, anziani o disabili a carico. Di campagne per aumentare reti e tutele sociali sul lavoro. O anche solo di iniziative per far rispondere i call center a dovere se il telefono, il computer o Internet che stai pagando non funzionano come promesso e per far corre a casa il tecnico che ripara tutto e non chiede altri soldi.

Il 2009 non sarà un anno facile. Ma ci insegnerà probabilmente a riscoprire il senso del lavoro, il valore del denaro, il ruolo del desiderio e della fiducia nell’economia. L’importanza del consumo. E l’inutilità dei Consumatori.