L’incontro tra Regione Lombardia e i vertici della nuova Alitalia è stato certamente molto importante dopo che il 13 gennaio scorso è nato il nuovo vettore regionale italiano; infatti non può essere definito diversamente, perché esso trasporterà solamente 28 degli 850 milioni di passeggeri a livello europeo.

L’accordo con il primo gruppo europeo del trasporto aereo, Air France-Klm, è arrivato il giorno prima rispetto al decollo di Alitalia e la quota acquisita è stata del 25% con un esborso di 323 milioni di euro; in questo modo la compagnia è valutata quasi 1,3 miliardi di euro, con una plusvalenza di quasi 300 milioni di euro per gli imprenditori italiani in nemmeno un mese.



Tra pochi anni, la compagnia, sarà quasi certamente acquistata dal partner straniero, seguendo la logica di consolidamento in atto nel trasporto aereo; infatti a livello europeo rimarranno solamente 5 o 6 gruppi e tra questi non c’è posto per la piccola Alitalia.

Un altro dato è interessante e fa capire quanto Alitalia sia francese di fatto: l’investimento della compagnia guidata da Jean-Cyril Spinetta è pari 4 volte quello fatto dal capo-cordata italiano, nonché presidente di Alitalia, Roberto Colaninno.



L’ex amministratore delegato di Telecom Italia insieme a Rocco Sabelli ha chiesto al Governatore della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, di chiudere Milano Linate a tutti i voli a eccezione della tratta con Fiumicino; ma perché questa tratta dovrebbe essere lasciata? La risposta arriva dalla quota di mercato che la nuova Alitalia ha su questa rotta che è pari a oltre il 95%.

Attualmente il city airport ha circa 10 milioni di passeggeri l’anno e 2,4 milioni di passeggeri sono relativi alla più importante rotta domestica. Chiudendo l’aeroporto di Linate di fatto si perderebbero circa 7,5 milioni di passeggeri e non è detto che tutti i businessman si trasferiscano volentieri al meno comodo aeroporto di Milano Malpensa. In questo modo Linate diverrebbe un aeroporto Alitalia incrementando i profitti per il vettore italiano a discapito del traffico aereo milanese.



La seconda domanda da porsi è la seguente: perché Alitalia vuole trasferire i voli da Linate a Malpensa? Non è solo questione di hubbing, perché la promessa del vettore di bandiera è quella di portare circa 80 voli intercontinentali settimanali sullo scalo varesino, pari a un undicesimo di quanti voli fa Air France dallo scalo di Paris Charles De Gaulle.

La motivazione di tale richiesta riguarda invece il problema degli slot; se questi non verranno utilizzati da Alitalia nella prossima stagione, la compagnia li dovrà rilasciare gratuitamente. Portando i propri voli da Linate a Malpensa riempirebbe degli slot che sarebbe comunque costretta a lasciare e quindi questa “manovra” di fatto servirebbe a mantenere una posizione di dominanza sulla città di Milano.

La chiusura di Linate oltretutto è già stata bocciata nel 1997 dall’Unione Europea; la stessa decisione sarebbe presa anche oggi, perché le condizioni sono cambiate poco e difficilmente la Commissione Europea permetterebbe la chiusura del city airport.

Gli 80 voli intercontinentali settimanali su Malpensa valgono 7,5 milioni di passeggeri, prevalentemente business, di Linate? Certamente no e la promessa-richiesta di Colaninno risulta molto debole solo se confrontata con gli accordi bilaterali.

Alla fine dello scorso novembre si è raggiunto un accordo tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Italia per la parziale liberalizzazione dei voli; Emirates potrà effettuare fino a 21 voli settimanali da Milano Malpensa verso Dubai e infatti già da inizio gennaio ha portato a 14 le frequenze settimanali. Con un solo accordo bilaterale ridiscusso, e se ne potrebbero fare almeno una ventina, si è “coperto” in poco tempo un quarto della “promessa” di Alitalia.

Un altro esempio arriva dalla Gran Bretagna dove la rinegoziazione dell’accordo bilaterale nel 2004 tra Gran Bretagna e India ha portato a uno sviluppo delle rotte intercontinentali tra questi due paesi con il numero di voli settimanali complessivo passato da 31 a 112 in soli 3 anni.

Se il mercato italiano necessita di liberalizzazioni a oggi il Governo Italiano è andato in direzione opposta al fine di salvare l’italianità di Alitalia.

La legge 166 del 2008 approvata lo scorso 27 ottobre dal Parlamento Italiano ha limitato l’azione dell’antitrust, che non ha più alcun potere di intervento fino al 30 giugno del 2009 nel caso di fusioni di imprese.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha infatti dovuto emettere un provvedimento molto soft, nel quale “impone” alla nuova compagnia aerea che il 10% dei biglietti deve essere emesso alle tariffe più economiche esistenti prima della fusione. Ora questa decisione sembra essere una beffa perché il restante 90% delle tariffe potrà essere aumentato fino a fare raggiungere quei 2,1 miliardi di euro di ricavi aggiuntivi che lo stesso Piano Fenice si pone come obiettivo; d’altronde il potere d’intervento dell’antitrust è stato di fatto annullato dalla nuova legge.

La Regione Lombardia non ha alcun interesse a chiudere Linate e il Comune di Milano, proprietario di Sea, avrà certamente una linea comune.

Alitalia non valeva il mercato italiano prima del fallimento e ora non vale nemmeno il mercato lombardo e in particolare l’aeroporto di Milano Linate.