Il Salone di Detroit ha aperto sottotono per effetto dei crolli delle vendite di auto degli ultimi mesi e le grigie prospettive a medio periodo. Una crisi che non conosce confini e che interessa un settore che si concentra sempre di più a livello mondiale, con accordi spesso propedeutici a vere e proprie operazioni di fusione e acquisizione (vedi il recente caso Fiat-Chrysler).



Grandi imprese significa grande capacità: si calcola che è possibile produrre 94 milioni di auto l’anno nel mondo, ben 34 milioni in più di quanto se ne comprino. Tuttavia grandi imprese significa inoltre grande potere.

Potere che ha determinato negli Stati Uniti, terra di libertà economica, un salvataggio bipartisan delle big three: Ford, General Motors e Chrysler. Potere che ha chiamato l’Unione Europea, terra di economia sociale di mercato, a dare un segnale. Il 16 gennaio, Bruxelles ha cominciato a rispondere.



In realtà una risposta “sostanziale” c’è già stata ed è tutta nazionale visto che alcuni Paesi – Germania, Francia, Spagna e Svezia – hanno predisposto piani specifici costellati da finanziamenti e incentivi.

È questo mosaico di interventi che il Commissario UE per le imprese, il tedesco Günter Verheugen, ha voluto conoscere convocando una riunione informale dei 27 ministri responsabili delle questioni industriali.

Nonostante il Trattato UE, in virtù di una politica della concorrenza necessaria a far funzionare il mercato interno comunitario, vieti gli aiuti di Stato, per questi interventi che hanno destato l’interesse della Commissione è possibile pensare ad una deroga in quanto:



1- sono aiuti concessi ad un settore e non a singole aziende (anche se spesso in un Paese il settore è rappresentato da poche aziende alla luce de già citato fenomeno di concentrazione);

2- sono una difesa necessaria per riportate l’industria europea al livello della concorrenza dopo il sostegno annunciato dalla coppia Bush-Obama;

3- si tratta di misure volte a rendere più efficiente il sistema produttivo e più ecologico il parco auto (auspicio ammantato di prescrizione, sulla scia di quanto pubblicizzato dall’intervento previsto oltreoceano);

4- l’ultimo Consiglio europeo ha invocato un ammorbidimento della politica della concorrenza per quelle misure necessarie a fronteggiare la crisi economica; summit dei capi di Stato di governo presieduto da quel Nicolas Sarkozy che aveva già sostenuto, con successo, di ridurre la portata della concorrenza intesa come obiettivo, nel Trattato di Lisbona in corso di ratifica.

La risposta formale dell’UE è da considerarsi politicamente dovuta per un settore che, con il suo indotto, pesa quasi il 12% del Pil e conta 2,3 milioni di lavoratori. Tuttavia, da una ricognizione della base giuridica dell’UE nonché dalle eventuali disponibilità finanziarie del bilancio comunitario, non si può pensare a nessun altro tipo intervento da parte della Commissione europea se non quello di mera ricognizione e di monitoraggio degli aiuti concessi alle aziende affinché questi siano compatibili con le regole del mercato interno.

Fa riflettere quindi l’assenza della Commissaria responsabile per la concorrenza, l’olandese Neelie Kroes all’incontro della scorsa settimana. Le misure che i governi nazionali hanno previsto, infatti, sono tutte deroghe ai principi stabili dal Trattato sugli aiuti di Stato e dovrebbe essere proprio la Direzione della Kroes a valutarne la liceità.

Il “protocollo” di quanto accaduto fa pensare ad un tentativo di politica industriale, determinato sicuramente da circostanze drammatiche dal punto di vista economico, ma che crea un precedente per un settore che, come quello finanziario, sembra aver acquisito un potere che va oltre il suo naturale perimetro disegnato in un mercato libero.