Le dichiarazioni del Governatore della Regione Lazio Giuseppe Marrazzo aprono la nuova “questione aeroportuale”: «Offriamo alla Cai la chiusura di Ciampino».

Non c’è nulla da dire su questa dichiarazione se non “noi vi avevamo avvisati” (vedi qui). Già nel 2007 la limitazione dei voli da 138 a 100 sul secondo scalo romano era una chiara indicazione che la concorrenza e il turismo non interessano alla Regione Lazio. Ryanair ha trasportato circa 4 milioni di turisti a Roma lo scorso anno, ma evidentemente la nuova Alitalia è più importante.



Trasferire i voli a Viterbo è la solita minestra pianificatoria; crede davvero che Ryanair possa andare in uno scalo cosi distante da Roma? Ricordo solamente che a Valencia, il dissidio tra la prima compagnia low cost e la Comunitatat Valenciana si è risolta con la ritirata del vettore irlandese.

Il Piano Bianchi, che voleva decidere per legge lo sviluppo aeroportuale, rinasce nelle parole del Governatore laziale, ma quel che è peggio ci sono indizi per la chiusura della concorrenza in tutta Italia per favorire il decollo della nuova Alitalia.



La compagnia non è già stata favorita con la legge 166 che impedisce all’antitrust di intervenire anche in caso di abuso di posizione dominante? Non basta, arriva Giuseppe Marrazzo e offre a Cai la chiusura di Ciampino.

La chiusura di Ryanair su Roma non sarebbe compensata pienamente dagli operatori low cost, perché la struttura di costo del vettore irlandese non è replicabile; anche rispetto ai suoi concorrenti il costo per chilometro posto offerto è del 40% inferiore ed è meno della metà di quello della nuova Alitalia.

Ciampino, come d’altronde Linate, indica l’apertura della questione aeroportuale. La Regione Lombardia ha ricevuto la richiesta di chiusura del city airport in cambio di qualche rotta intercontinentale in più su Malpensa.



Limitare la minima concorrenza tra gli aeroporti va esattamente nella direzione opposta di quanto sta succedendo nel mercato leader del trasporto aereo: la Gran Bretagna.

 

Esempio britannico e francese

Purtroppo abbiamo una visione anglosassone, che nel trasporto aereo forse ha avuto più meriti che demeriti. Quale è oggi il primo mercato europeo? Chiaramente la Gran Bretagna, che grazie a una liberalizzazione anticipata rispetto al resto d’Europa e a una privatizzazione di British Airways, ha oggi il mercato più concorrenziale e più sviluppato.

Puntare su un unico grande hub, riducendo la concorrenza e magari con la chiusura anche di Orio al Serio oltre a Milano Linate? Non è credibile e non è fattibile. Un grande hub ha bisogno di una compagnia aerea in grado di “rifornire” lo scalo di passeggeri per poi fare un volo a lungo raggio; in Italia non c’è mai stata una compagnia in grado di farlo e sicuramente la nuova Alitalia è troppo piccola e non ha gli aerei necessari per fare un sistema hub and spoke. È giusto ricordare che un aereo a lungo raggio costa 300 milioni di dollari, circa un quinto di quanto investito dalla cordata degli imprenditori italiani e AirFrance, messi insieme.

Ridurre la concorrenza tra gli aeroporti proprio mentre l’antitrust inglese impone alla BAA di vendere due dei quattro aeroporti che possiede nell’area londinese? Ancora una volta andiamo contro-corrente, ma questo purtroppo è tipico dell’Italia.

Gli aeroporti sono dei monopoli legali e non a caso riescono spesso a produrre utili molto importanti con indici di redditività elevatissimi; vogliamo davvero ridurre quel poco di concorrenza che esiste tra gli aeroporti? Vogliamo seguire il caso francese, dove AirFrance ha una quota di mercato vicina al 90% e il mercato è quello che meno si è sviluppato dal momento della liberalizzazione?

Solo un dato relativo ai passeggeri intra-europei; nel 1997, anno dell’apertura del mercato europeo la Francia ci surclassava, mentre solo 10 anni dopo, nonostante la crisi Alitalia, i passeggeri intra-europei da e per l’Italia superavano di 8 milioni quelli dello stesso mercato francese.

In Italia si vuole seguire l’esempio perdente. Ancora una volta.

Sussidi agli aeroporti

Il 17 dicembre scorso, il Tribunale di Primo Grado delle Comunità Europee ha annullato la “famosa” sentenza circa l’aeroporto di Chaleroi. Lo scalo belga, sviluppatosi grazie alle compagnie low cost e in particolare a Ryanair, era stato condannato per aver dato aiuti di Stato al vettore irlandese per incrementare il traffico. In seguito alla decisione, ora annullata, gli aiuti da parte degli aeroporti pubblici dovevano essere limitati al “lancio” delle nuove tratte.

L’aeroporto pubblico se si comporta come privato, può abbassare le tariffe aeroportuali o addirittura azzerarle; infatti l’accordo tra compagnia e aeroporto secondario normalmente prevede un annullamento dei costi aeroportuali per la compagnia low cost in cambio di un certo numero di passeggeri nello scalo; questi passeggeri spenderanno denaro nei negozi aeroportuali e in questo modo l’aeroporto non è in perdita.

Il problema degli aiuti statali alle compagnie aeree in realtà è un altro; è il mantenimento pubblico della gestione aeroportuale che crea il problema, perché un singolo operatore è libero di fare gli sconti che ritiene necessari al fine di attrarre traffico. L’aeroporto valuta i costi e i benefici di uno sconto alla compagnia in funzione del proprio conto economico. Il problema deriva quando la gestione è pubblica; a volte un piccolo aeroporto gestito da una Camera di Commercio vuole a tutti i costi svilupparsi provocando dei “buchi” di bilancio. In questo caso si è di fronte ad aiuto di Stato; anche in questo caso proponiamo una soluzione che arriva proprio dallo scalo di Chaleroi: la privatizzazione della gestione aeroportuale.

Malpensa e Alitalia

Il fatto che il doppio hub abbia provocato 200 milioni di euro di perdite annui ad Alitalia era dato ormai per scontato; troppe volte, anche su questo quotidiano online o sul sito dell’Istituto Bruno Leoni è stato ricordato. Questo giustifica la chiusura di Milano Linate? Gli errori del management di Alitalia degli scorsi anni, provocati dalla continua intromissione della politica e dei sindacati nella gestione aziendale sono poco inerenti con la problematica attuale. Gli errori del passato sono del passato e sono costati oltre 4 miliardi di euro per il contribuente.

Attualmente Alitalia non ha gli aerei necessari per fare di Malpensa un hub e anche la promessa di 80 voli intercontinentali settimanali sono infinitesimali rispetto ai circa 1000 di Air France dal solo scalo di Parigi Charles De Gaulle.

La gestione Sea del passato è stata piena di errori, ma non si capisce come si voglia ora che si continuino a fare gli stessi errori del passato.

 

Come giustamente ricordato dal Prof. Ugo Arrigo è necessario liberalizzare gli slot a Linate; ma la decisione è governativa e non certamente a livello Regionale o Comunale o aeroportuale. La legge 166 del 2008 del Governo Italiano ha ridotto ancora la concorrenza purtroppo, impedendo all’antitrust di operare nel caso di fusioni tra imprese (vedi Alitalia ed AirOne), andando in direzione opposta a quella necessaria.

Un’altra illusione è quella che la chiusura di Linate possa rendere un hub Malpensa; non tutti i passeggeri di Linate andrebbero nell’aeroporto varesino perché per fortuna esiste una buona offerta di voli a Bergamo, che continua a crescere e nel 2015, potrebbe avere oltre 10 milioni di passeggeri l’anno. I viaggiatori non andrebbero fino a Belgrado a prendere l’aereo, ma si fermerebbero a 49 chilometri di distanza ad est di Milano, simile alla distanza che divide Malpensa dal centro dell’operosa città lombarda.

È giusto ricordare la regolazione degli slot visto che c’è molta confusione; la regola dei grandfather’s right impone l’utilizzo per almeno l’80%; la decisione della Commissione Europea del 30 aprile 2008 inoltre apre al mercato secondario degli slot ed è compito del Governo Italiano recepire questa possibilità. Alitalia ha perso alcuni slot estivi, ma tramite il trasferimento da Linate a Malpensa riuscirebbe a mantenere una posizione di leadership anche sullo scalo varesino.

Se dal centro di Milano per arrivare a Linate ci vogliono circa 20 minuti, arrivare a Malpensa non è certo facile; attualmente le infrastrutture sono poco cambiate rispetto al 1997 e i tempi di percorrenza purtroppo non sono molto migliorati.

L’Italia non è la Gran Bretagna, ma gli Emirati Arabi Uniti non sono una colonia dell’Italia; l’esempio di liberalizzazione tra India e Regno Unito ha permesso di dimostrare che la liberalizzazione delle rotte intercontinentali può triplicare i collegamenti; lo stesso è avvenuto con la liberalizzazione tra Italia ed Emirati Arabi Uniti, che quasi certamente l’anno prossimo, permetterà ad Emirates di triplicare le frequenze giornaliere (21 contro le 80 promesse dalla nuova Alitalia) verso lo scalo di Dubai dalla sola Milano (già oggi sono raddoppiati).

A livello italiano il fattore moltiplicativo potrebbe essere addirittura pari a 7 grazie alla liberalizzazione che l’Istituto Bruno Leoni chiede da tempi non sospetti. Infatti l’accordo tra Emirati Arabi Uniti e Italia dello scorso novembre permette di effettuare fino a 70 voli settimanali contro i 10 pre-liberalizzazione.

Di compagnie come Emirates c’è solo Emirates? Per fortuna no e gli ordini di Boeing e Airbus sono fatti da centinaia di compagnia tra le quali Singapore Airlines o Korean Air, solo per parlare dell’Asia. Tante compagnie grazie agli accordi bilaterali vigenti non possono comunque arrivare a Malpensa o hanno frequenze molto limitate. La liberalizzazione è necessaria, tanto quanto è necessaria la modifica della legge 166 del 2008.

Chiudere Linate? La soluzione migliore a questo punto forse è riaprire Linate, come giustamente ricorda il Prof. Arrigo nel suo articolo del 19 gennaio scorso.

Difendere ancora Alitalia e dodici rotte intercontinentali da Malpensa? Non sono bastati 4,7 miliardi di euro di perdite, continue ricapitalizzazioni del vettore di bandiera? È possibile che la soluzione sia sempre la riduzione della concorrenza che tanto ha fatto bene al trasporto aereo italiano?

Dipendere da una sola compagnia per Malpensa non è ormai solo un’illusione fuori tempo massimo, ma anche la ripetizione degli errori passati.