Da molte parti, le banche vengono additate come la causa più o meno diretta dei problemi dell’economia mondiale, per la facilità con cui hanno lasciato il loro consueto percorso di raccolta di risparmio e conseguente impiego, verso una strada in cui la “finanza creativa” cambiando nome ad un debito, lo trasformava in un credito e lo vendeva sul mercato.
Certamente il discorso non può essere semplificato in questi termini. Chi opera nel mondo della Finanza sa benissimo che, ciclicamente, i valori degli investimenti subiscono degli scossoni, in alto ed in basso, per un mix di speculazione e sensazione, che trascende il valore economico di un singolo bene, e gli attribuisce un valore irreale, positivo o negativo che sia. Molto spesso infatti, è la solita storia del bicchiere che, da mezzo vuoto, magicamente diviene mezzo pieno o viceversa. L’effetto psicologico è un fattore importante nell’economia di un sistema, giacchè le scelte dei singoli individui non si manifestano seguendo le curve e le ellissi delle teorie dottrinali, ma secondo l’illogicità o l’emotività umana, molto meno matematica ed esatta. Non a caso, un recente sondaggio riferito pubblicamente dal Presidente del Consiglio, descrive come il timore della crisi attanagli anche i tre milioni di lavoratori statali, per assurdo gli unici a non dover temere per il loro posto di lavoro.
Siamo quindi in un momento in cui, più delle teorie matematiche e delle analisi dei grafici di borsa, dobbiamo preoccuparci della psicologia del consumatore, del lavoratore e dell’Imprenditore.
Se un funzionario dell’Ufficio del Catasto non cambia la vecchia “punto” perchè sente la crisi incombente, ciò significa che il difetto sta nella comunicazione e non nella reale condizione economica. Anche, e soprattutto, perchè la nostra struttura imprenditoriale è fatta non in senso “finanziario” ma in senso “manufatturiero”, vale a dire le nostre Aziende non sono scatole vuote che “creano” prodotti derivati e li piazzano ai clienti, ma sono concrete e tangibili Imprese, in cui l’obbiettivo è produrre e conseguentemente vendere merci, comandate da persone che sanno benissimo la differenza tra il valore cartaceo ed il valore reale di un manufatto.
E’, insomma, la storia dei nostri Imprenditori, la maggior garanzia che la crisi si dimostri più psicologica che economica. Il sistema bancario può e deve essere il moltiplicatore di ricchezza necessario al superamento di questa fase.
Appigliarsi alle regolamentazioni di Basilea per giustificare un irrigidimento del sistema creditizio è una parziale inesattezza. La storia dell’Imprenditore, la sua capacità di “intrapresa” e dunque di vedere oltre, è uno dei canoni di riferimento di Basilea, non solo il crudo ed asettico ROL o MOL che esce dall’analisi del Bilancio.
In questa ottica, diventano più strategiche le Banche di secondo piano, quelle che non appartengono ai grandi gruppi, ma che sono diretta espressione del territorio in cui sono nate ed agiscono. Lontane dai giochi di alta finanza, magari meno avvezze alle tecnologie ed alle alchimie creative e più legate al classico percorso di raccolta-impiego, possono dare un impulso decisivo per superare questa impasse che, a forza di essere richiamata, diventa sempre più ogni giorno concreta.
Non a caso, sono proprio queste piccole banche che, proprio per la loro estraneità a tutto ciò che evoca Wall Street, restano più indenni dall’irrigidimento dei rapporti di prestito reciproco tra le banche maggiori. Infatti,l’attuale credit crunch è figlio della crisi delle operazioni over-night, vale a dire quegli scambi di denaro contante che le grandi banche usano per riequilibrare le operazioni diurne. Il crollo delle fiducia reciproca tra banche circa la propria solvibilità, ha bloccato questo mercato e messo i grandi Istituti in carenza di liquidità; da questa carenza, nasce un irrigidimento dei cordoni della borsa e non dalla previsione di funesti tracolli economici.
Anche a questo livello, quindi, la percezione vale più della empirica quotidianità e due sospetti fanno erroneamente una certezza assoluta. Una visione soggettiva sul percorso storico dell’Imprenditore è più concretamente analizzabile dalla piccola Banca, radicata nel territorio come parte integrante di esso. Maggiore conoscenza dell’escursus dell’Imprenditore, minore aderenza a regolamentazioni attuative disegnate su di un “cliente-tipo” definito statisticamente, consentono al piccolo istituto bancario di essere adesso un partner strategico importante per il Piccolo e Medio Imprenditore proprio per la possibilità di dialogo e confronto, più difficile con una struttura organizzativa enorme in cui l’autonomia operativa del singolo Manager Bancario è ristretta da norme interne.
Conoscere l’uomo (o la donna) che ci sono dietro ad ogni storia di Impresa è essenziale per poterne valutare il futuro, in modo ben più ponderato che da semplici e asettici numeri di bilancio. In un quadro economico in cui la piccola impresa rappresenta l’asse portante di tutto il sistema produttivo, nasce e si sviluppa un nuovo ruolo del piccolo istituto bancario che condivide la flessibilità e la pervicacia con cui ogni Imprenditore affronta il mercato.
Un rapporto solidale, non gestito da protocolli attuativi o circolari esplicative, ma vissuto più sul rapporto umano e professionale, proprio per vincere una propensione psicologica negativa che, a lungo andare, crea una vera e propria situazione di difficoltà.
(Danilo Loforte)