Nell’ultimo decennio, il sistema finanziario ha realizzato forti profitti assorbendo una quota significativa della ricchezza prodotta. Negli Stati Uniti, il cui modello di sviluppo ha rappresentato il driver per l’intera economia mondiale, la quota dei profitti del sistema finanziario si era attestata al 40%: il doppio della media degli ultimi quaranta anni.



Un tale squilibrio, oltre a generare i disastri che tutti abbiamo avuto modo di constatare, ha determinato la minore crescita dell’economia americana dell’ultimo secolo, se si eccettuano gli anni trenta, e ha accentuato le disuguaglianze. Anche in Europa il sistema finanziario ha generato forti squilibri e rischi per l’intera economia, anche perché l’accesso al debito è stato favorito attraverso strumenti finanziari opachi e inducendo individui privi di un alto grado di educazione finanziaria ad assumere rischi eccessivi. Nel mondo delle imprese, i programmi industriali sono stati spesso indotti da una finanza che ha sollecitato decisioni di investimento e finanziarie fondate sull’abuso della leva finanziaria. La crisi del credito degli ultimi mesi, cui è seguita una fase recessiva che ha inciso in misura significativa sui risultati economici, ha compromesso la sostenibilità dei piani di diverse imprese.



Le dinamiche di impresa sono di carattere economico, patrimoniale e finanziario e criteri di sana e prudente gestione degli affari conducono ad una situazione di equilibrio laddove i risultati economici e la gestione corrente permettono di generare i flussi di cassa necessari ad assicurare la sostenibilità degli impegni assunti. In presenza di risultati economici negativi per assenza di domanda di beni e servizi, l’assorbimento di cassa che da ciò deriva può rivelarsi estremamente pericoloso se la struttura finanziaria dell’impresa presenta elementi di criticità e/o si verificano fenomeni diffusi di inadempienza da parte dei creditori della società. Molte aziende saranno in grado di affrontare l’attuale fase recessiva, grazie a strutture economico e patrimoniali solide e a modelli di business flessibili, altre rischieranno di vedere compromessa la continuità aziendale con tutte le conseguenze che da ciò deriva sia in termini occupazionali sia in termini di distruzione di valore determinato dall’eventuale ricorso a procedure concorsuali.



In una tale situazione risulta decisiva la scelta dell’imprenditore di assumere tempestivamente decisioni che permettano di assicurare la continuità aziendale o che siano in grado di liquidare l’impresa senza che da ciò scaturiscano procedure concorsuali anche preservando rami d’azienda in grado di continuare a creare valore nel sistema. Risulta a tal fine di estremo interesse la procedura prevista dall’articolo 182 bis della legge fallimentare introdotta con la recente riforma delle norme concorsuali.

La disposizione in commento, consente di stipulare un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, omologato dal Tribunale in presenza dei requisiti previsti, senza che la società faccia ricorso ad alcuna procedura concorsuale. Si tratta in sostanza di affrontare la crisi di impresa, sia essa strutturale/industriale ovvero solo finanziaria, con gli opportuni strumenti a tutela dei creditori e del bene impresa preservando le esternalità che questa è in grado di generare, evitando nel contempo il costo sociale determinato dalle procedure fallimentari.