L’anno orribile del settore automobilistico sarà quello appena iniziato. Non che quello che si è chiuso sia stato bello. Anzi. Ma almeno è stato la somma di un primo semestre positivo, un trimestre di stasi e degli ultimi tre mesi disastrosi. Talmente disastrosi che, ad esempio, Toyota farà segnare il primo rosso operativo della sua storia aziendale, due grandi case americane, Gm e Chrysler, sono state salvate in extremis dal fallimento e, più o meno tutti, hanno dovuto rivedere al ribasso utili e fatturato.
Sono partiti, in massa e a livello mondiale, gli ammortizzatori sociali per i dipendenti lasciati a casa dei costruttori, molti concessionari hanno chiuso i battenti e una grande casa, la coreana Ssangyong, ha annunciato di non avere i soldi per pagare gli stipendi di dicembre.
Ma il 2009 sarà ancora peggio. Nessuno sembra più voler comprare automobili. Sia nei Paesi a economia avanzata come quelli europei, gli Stati Uniti e il Giappone, sia in quelli emergenti come la Cina, il Brasile, la Russia o l’India, che più di tutti avevano contribuito alla crescita mondiale del settore negli ultimi anni.
I mercati migliori a novembre sono scesi di una percentuale vicina al 15% (Francia e Germania), quelli peggiori del 50% (Spagna). Quasi nessuno ha fatto segnare un dato di crescita positivo nel penultimo mese del 2008 nel mondo o tra le case automobilistiche. Nel primo caso si tratta di mercati marginali trainati da sovvenzioni locali. Nel secondo, di eccezioni (solo Audi in Europa) che confermano la regola.
La crisi mondiale è frutto combinato disposto dello choc petrolifero di questa estate e della carenza di credito al consumo che aveva spinto le vendite negli ultimi anni. Ma ormai è andata anche oltre e ha assunto anche risvolti psicologi e di costume. L’auto non è più un bene durevole, non è mai stato un investimento e, in molti casi, non è più indispensabile. Insomma, sembra non sia più una priorità d’acquisto nei mercati maturi dove tutti ce l’hanno e in pochi hanno voglia per sostituirla, e in quelli emergenti dove le risorse (a rischio) vengono indirizzate verso altri settori.
La conseguenza più importante di questa situazione è l’eccesso di capacità produttiva che il settore dovrà smaltire nei soliti due modi possibili: o i produttori attuali chiuderanno alcune fabbriche o alcuni produttori chiuderanno. E una cosa non esclude l’altra. Quello che è certo è che ci saranno vincitori e vinti.
Nella seconda categoria. se potessimo scommettere, punteremmo sul binomio Volkswagen-Porsche per quello che hanno saputo fare in tutto il mondo negli ultimi anni con i loro nove marchi. Mentre nella prima finiranno, con ogni probabilità, almeno una casa automobilistica americana e, forse, un marchio asiatico.
Ma anche in Europa si rischia. La situazione nel vecchio Continente è talmente difficile che l’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne ha dovuto annunciare che la festa è finita e che soltanto sei o sette grandi costruttori sopravviveranno alla crisi, una frase che ha messo di fatto sul mercato tutto il settore auto del Lingotto. Anche perché le prospettive a Torino si sono fatte ancora più incerte.
Le risorse per i nuovi modelli sono scarse, quelli vecchi cominciano a essere datati e la gallina dalle uova d’oro Brasile sta segnando il passo. Il real, la moneta brasiliana, ha perso circa un quarto del proprio valore rispetto all’euro in pochi mesi e il mercato, dopo anni di crescita costante attorno al 30%, ha fatto segnare un dato negativo in novembre. Una campana a morto per Fiat Auto che sulla forza del real e la crescita del settore in Sudamerica aveva costruito la sua rinascita.
Il migliore candidato all’acquisizione, secondo gli esperti, è la Bmw che otterrebbe il doppio vantaggio di aumentare la propria massa critica e risolvere il problema delle regole europee sulle emissioni di gas inquinanti usando le piccole auto italiane per fare media con le proprie berline. Ma perfino per la Casa bavarese è un periodo di vacche magre e la scelta di comprare sarà oltremodo meditata.