La vecchia Alitalia è morta lo scorso 29 agosto grazie ad una gestione politico – sindacale dell’azienda che nonostante 4 miliardi di ricapitalizzazioni da parte del contribuente italiano è riuscita a bruciare 4,7 miliardi di euro dal 2000; niente male come gestione…

Le continue invasioni di campo della politica non hanno mai permesso al management del vettore italiano di rispettare i piani aziendali e mentre nello stesso periodo Iberia veniva privatizzata, in Italia continuavano ad arrivare soldi pubblici.



Nessuna ristrutturazione è stata mai fatta dai manager scelti dai diversi Ministri dell’Economia che si sono susseguiti, di centrodestra e di centrosinistra, e tutti i piani industriali, cinque in sei anni, non sono mai stati mai rispettati.

Il risultato? Dal 2002, anno della privatizzazione, la compagnia spagnola ha creato profitti per oltre 1,3 miliardi di euro, mentre nello stesso periodo Alitalia ha bruciato 3,5 miliardi di euro.



Da questo semplice dato si evidenzia la necessità di lasciare al mercato la gestione di compagnie aeree, perché il decisore pubblico non è in grado evidentemente di avere una gestione molto efficiente e di fare l’imprenditore.

A distanza di cinque mesi dalla consegna dei libri contabili e quindi dalla “morte”, Alitalia è rinata dalla fusione tra gli asset acquistati al Commissario straordinario della vecchia compagnia di bandiera Augusto Fantozzi e AirOne di Carlo Toto Alitalia con a capo Rocco Sabelli e Roberto Colaninno e con il nome di Compagnia Aerea Italiana.

L’italianità tanto amata dai politici servirà a ben poco, ma soprattutto durerà a breve, perché già nei prossimi giorni il socio estero sarà l’azionista di maggioranza relativa nella compagine imprenditoriale.



La nuova compagnia italiana porterà a termine l’alleanza con Air France quasi certamente nei prossimi giorni, se non nelle prossime ore, come era prevedibile già da alcuni mesi. Alitalia e il vettore francese facevano e fanno parte della stessa alleanza globale, Skyteam, e un’uscita da questa alleanza, non sarebbe costosa solamente in termini di denaro, con una penale superiore a 200 milioni di euro, ma anche da un punto di vista organizzativo; in un settore, quale quello del trasporto aereo, non è possibile cambiare il proprio network di rotte in poche ore, perché è necessaria una programmazione di lungo periodo.

Il colosso franco-olandese dovrebbe apportare circa 300 milioni di euro in aggiunta ai circa 850 milioni di euro che avevano immesso gli imprenditori italiani; tuttavia la capitalizzazione di Alitalia resterà troppo bassa per affrontare un mercato difficile come quello del trasporto aereo e in pochi anni, se non mesi, il vettore sarà acquisto totalmente dal partner straniero. La nuova Alitalia non avrà nemmeno il 3% della quota dei passeggeri europei e avrà un fatturato pari ad un sesto a quello di Air France-KLM.

Sommando i capitali che arriveranno dal partner straniero a quelli italiani, è già chiaro che la nuova Alitalia partirà con un debito importante; la compagnia infatti ha già dovuto spendere oltre un miliardo di euro per acquistare gli asset della vecchia Alitalia e oltre 750 milioni di euro per fare acquisire il gruppo guidato da Carlo Toto, AirOne, a fronte di un investimento di poco superiore al miliardo di euro.

Ed è delle ultime ore il rinnovarsi della lotta tra Milano Malpensa e Roma Fiumicino; uno scontro tanto inutile quanto ridicolo. Nel complesso, come giustamente ricordato dal Professore Ugo Arrigo in un articolo pubblicato ieri su ilsussidiario.net, la compagnia avrà 88 voli settimanali verso destinazioni intercontinentali, circa la metà di quanti ne fa Air France dal solo scalo di Parigi Charles De Gaulle verso l’Africa.

Questo raffronto aiuta dunque a capire la debolezza della nuova Alitalia, ma è possibile portare un altro numero: quest’anno l’offerta di posti chilometri per rotte intercontinentali del nuovo vettore che nasce dalla fusione di Alitalia ed AirOne sarà inferiore del 26% rispetto ai soli voli di Alitalia nel 2007, già sull’orlo del fallimento.

In particolare il pezzo rimanente della vecchia Alitalia, venduto da Augusto Fantozzi a Cai ha offerto nello scorso mese solo 250 voli settimanali, contro i più di 1800 che offriva la compagnia all’inizio del processo di privatizzazione.

Da dove nasce questa debolezza e a che conseguenze porta? Una compagnia cosi piccola nasce dalla debolezza della soluzione italiana; come ricordato i capitali investiti sono stati troppo pochi e il nuovo vettore italiano non ha i mezzi finanziari per competere con i giganti del cielo.

Al fine di comprendere meglio si ricorda che il prezzo di un nuovo aeromobile a lungo raggio può arrivare fino a 300 milioni di euro, pari al 35% di tutti i soldi immessi dagli imprenditori italiani.

La conseguenza più importante di questa debolezza è il fatto che né Malpensa né Fiumicino saranno mai un hub, perché per fare un sistema hub and spoke servono molti voli in più rispetto agli 88 che la nuova Alitalia offrirà dagli scali.

Le intromissioni della politica per difendere gli interessi locali sono dunque molto preoccupanti; vogliamo veramente che si ritorni a una situazione identica a quella che ha portato al fallimento della vecchia Alitalia? Vogliamo veramente che sia la politica a prendere le decisioni per un’azienda ormai totalmente privata? Non sarebbe meglio lasciare alla liberalizzazione del mercato la capacità di sviluppare il trasporto aereo e le economie territoriali?

Bisogna ricordare che la liberalizzazione europea ha permesso tra il 1997 e il 2007 un raddoppio del traffico aereo in Italia e se il Governo non avesse deciso tramite la legge 166 del 2008, la cosiddetta “Salva Alitalia” di chiudere alla concorrenza sul mercato domestico, oggi la situazione sarebbe molto meno grave.

L’antitrust a causa della legge “Salva Alitalia”, approvata il 27 ottobre del 2008, non è potuta intervenire per obbligare al rilascio immediato degli slot la nuova Alitalia e il Governo ha triplicato le tasse governative aeroportuali.

In questo modo si è aumentata l’imposizione tributaria su un settore che era già entrato in crisi a causa delle eccessiva lungaggine della privatizzazione di Alitalia e inoltre si è impedito ad altre compagnie di entrare sulle rotte più remunerative del mercato interno.

Cosa si può fare ora?

In primo luogo si devono immediatamente rivedere gli accordi bilaterali per le rotte intercontinentali in modo che vengano liberalizzate tali rotte; un primo timido passo è stato fatto a fine novembre scorso con la liberalizzazione con gli Emirati Arabi Uniti.

Si deve inoltre modificare la legge 166 del 2008 e ridare all’antitrust il potere di intervenire per obbligare la nuova Alitalia al rilascio degli slot nelle rotte nelle quali ha più del 60% della quota di mercato (sono 18 tra le prime 25 rotte nazionali).

L’ennesima intromissione della politica nelle decisioni aziendali di Alitalia è grave e conferma un sospetto che l’Istituto Bruno Leoni aveva da mesi; il fatto di voler una “privatizzazione” tutta italiana ha continuato a tenere alto il rischio di ingerenze politico sindacali nella gestione della nuova Alitalia.

La politica smetta d’intromettersi nelle decisioni aziendali e non pianga; agisca per liberalizzare il mercato.