Il pentolone della Fiat sta ribollendo. Non passa giorno che non sia annunciata una novità di prodotto, un accordo internazionale, un nuovo incarico nella galassia del gruppo. Le notizie hanno preso lo stesso ritmo forsennato che tutti riconoscono nell’attività lavorative del deus ex machina del Lingotto Sergio Marchionne.



E la strategia industriale della nuova conglomerata auto, che comprende quattro marchi in Italia e quattro negli Usa, ha cominciato a prendere forma. Anzi l’ha già presa visto che sarà presentata in questi giorni al governo americano e il 4 novembre al resto del mondo. In sintesi si tratterà di una integrazione forte tra i due gruppi in cui il “socio” americano darà tutto quello che potrà sull’alto di gamma e sul mercato interno, mentre il partner italiano inietterà esperienza, prodotti e tecnologia per il downsizing delle vetture Usa e metterà un piede nel mercato oltreoceano.



Con ogni probabilità, Dodge non sarà più commercializzata in Europa e la Fiat 500 verrà prodotta negli stabilimenti del gruppo in Messico. Lancia e Chrysler inizieranno a percorrere una strada comune per cercare spazio nel segmento premium e contribuire ad aumentare i margini, mentre Alfa Romeo sbarcherà nei prossimi anni in Usa e il marchio Jeep verrà valorizzato cercando di aumentare la sua penetrazioni in tutti i mercati emergenti.

Sarà una strada lunga e difficile, ma Marchionne è convinto di farcela. E gli si può dare credito visto che un turnaround del genere l’ha già fatto al Lingotto nel giugno del 2005, quando diventò amministratore delegato del Gruppo Fiat che tutti o quasi davano per morente. Gli aggiustamenti, le ricerche di sinergie e le scelte strategiche saranno nei prossimi mesi all’ordine del giorno e non mancheranno neanche i passi falsi. Ma alcuni punti fermi si possono già intuire.



Il primo è che Marchionne non vuole sorprese e sta puntando sugli uomini migliori che ha a disposizione anche a rischio di fargli fare mille lavori diversi. Lo dimostra lo spazio dato ad Alfredo Altavilla, ceo di Fiat Powertrain e numero uno della joint venture con la turca Tofas che ha giocato un ruolo di primo piano nel convincere l’amministrazione Obama e ora siede anche nel cda di Chrysler. E lo conferma la scelta di Olivier Francois alla guida operativa della azienda americana.

Il francese, che è, e rimane, amministratore delegato di Lancia e responsabile della comunicazione di tutto il settore auto, è l’ultimo sopravvissuto dei Marchionne boys, i quattro amministratori delegati dei marchi automotive che hanno formato la prima squadra dell’italocanadese a Torino. Ed è rimasto al suo posto perché, oltre ad avere una fibra fisica sufficiente a reggere per anni i ritmi di un’attività forsennata, è quello che è riuscito sempre ad accontentare il “capo”, a fare miracoli, a imbandire un pranzo di nozze con i fichi secchi.

Con un po’ di fortuna, come quando si è ritrovato con una sua testimonial (Carla Bruni) al fianco del presidente francese, e con molto mestiere, come quando ha imbroccato il product placement gratuito della Delta nel film Angeli e demoni o ha sponsorizzato e sfruttato pubblicitariamente la riunione dei premi Nobel, Francois è riuscito a mantenere in vita, e a quote di mercato invariate o in crescita, una marca che non solo aveva un parco modelli vecchio di anni, ma non aveva neanche in previsione a breve l’arrivo di nuove vetture.  

Il secondo punto fermo è che Marchionne non rinuncia alla logica delle partnership. Ne ha appena firmata una in Russia per Cnh, la società del gruppo che produce macchine agricole e movimento terra, con Vladimir Putin e non è detto che in quella occasione non si sia parlato anche di Opel, di fatto controllata dal governo di Mosca, e di Autovaz, la fabbrica russa di auto, partecipata da Renault, che versa in fortissime difficoltà.

 

Dopo l’accordo in Cina con Guangzhou Automobile Group, ci saranno altre novità internazionali che riguarderanno ogni singola attività del gruppo, da Magneti Marelli a Iveco, da Cnh a Fiat Auto fino ad arrivare alla nuova controllata americana. La 500 sarà prodotta e commercializzata in Brasile e il prossimo anno arriverà anche in Cina. Lancia e Fiat cercheranno di aumentare le proprie quote di mercato in Europa, mentre Alfa Romeo cercherà di imporsi anche all’estero, passo dopo passo, Paese dopo Paese, grazie al connubio tra la sportività e i bassi consumi consentiti dal motore multiair prodotto da Fiat Powertrain.

 

Insomma la strategia è mondiale e la quota di mercato in Italia serve da trampolino di lancio per conquistare i mercati stranieri. Le vendite nostrane ora sono determinanti ma tra qualche anno lo saranno meno. La loro importanza diventerà sempre più relativa man mano che cresceranno le vendite all’estero, finora concentrate solo in Brasile. Per questo lo scambio tra incentivi e mantenimento dei siti produttivi in Italia, proposto indirettamente da Sergio Marchionne nelle scorse settimane, è brutale ma non privo di logica.

 

Lo hanno fatto, in maniera diretta o indiretta, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, la Spagna e, naturalmente gli Stati Uniti. Dovunque sono arrivati incentivi e sostegni statali per l’industria dell’auto e, se serviranno, ne arriveranno ancora. Tutti hanno avuto, e avranno, come obiettivo primario la salvaguardia delle fabbriche e della manodopera locale. L’affaire Opel insegna che chi paga l’orchestra decide la musica e che i capitali messi sul piatto dal cancelliere Angela Merkel sono serviti a mantenere il maggior numero possibile di posti di lavoro in Germania a scapito di quelli che la stessa Opel aveva, e forse non avrà più, in Spagna e in Inghilterra.

 

Ora si tratta di trovare una formula magica perché non si possono incentivare solo le auto prodotte in Italia senza scatenare le ire dell’Unione Europea. Ma continuando a dare incentivi basati solo sull’emissione di biossido di carbonio si rischia di far aumentare soprattutto la vendita di auto realizzate all’estero come la Panda o la 500 che vengono prodotte in Polonia.

 

In attesa di trovare la quadratura del cerchio sarebbe anche il caso di affrontare il problema dei mezzi commerciali e delle flotte aziendali. Queste categorie hanno beneficiato in maniera minima degli incentivi e hanno registrato cali vistosi di vendite quest’anno (-31% in agosto) a causa di una tassazione che non ha eguali in Europa (Iva e spese non deducibili totalmente). Cominciare da qui non risolverebbe il problema dei posti di lavoro in Italia ma sarebbe comunque un bel inizio.