Una polemica inutile creata per non affrontare i problemi reali: così Alessandro Cocci, titolare del Lanificio Cocci Srl di Prato, definisce il “vespaio” sollevato dalle dichiarazioni del Presidente Silvio Berlusconi alla Confindustria di Monza e Brianza. Il Premier ha infatti invitato la platea a una “ribellione generalizzata” contro “un giornale che non ha avuto limiti nel gettare discredito sul governo e sul Paese e ad imbeccare i giornali stranieri”. «La vera ribellione – ci racconta l’imprenditore – arriverà da sola se la disoccupazione continuerà a crescere».
Di diverso avviso Luciano Anceschi, amministratore delegato di Tria, azienda di Cologno Monzese (MI) che produce impianti per la lavorazione di materie plastiche e che fa dell’esportazione il suo punto di forza. Proprio per chi deve vendere all’estero, infatti, «screditare il Presidente del Consiglio equivale a un danno. L’immagine negativa che viene data di Berlusconi si trasferisce su di noi e per i nostri concorrenti stranieri questo è un grande vantaggio. Soprattutto quando i media stranieri riportano delle falsità».
Anche Cocci ha a che fare con concorrenti che possono godere di vantaggi immeritati: si tratta dei cinesi che esercitano spesso una concorrenza sleale, contro la quale potrebbe far molto l’effettiva tutela del Made in Italy. Ma in questo campo, racconta, «è stata fatta anche una riunione cui hanno partecipato anche alcuni esponenti della Lega Nord, ma non ne è uscito nulla di decisivo. Anzi, l’impressione è che si vogliano lasciare le cose come stanno. Evidentemente ci sono grandi interessi che non vogliono far sì che i nostri prodotti abbiano una tracciabilità».
E così l’azienda continua a soffrire, alcuni dipendenti rimangono in cassa integrazione e gli ordinativi restano bassi, se non in qualche periodo «nel quale aumentano, perché i nostri clienti esauriscono le loro scorte. Si tratta quindi di un ricambio fisiologico». Non si vede perciò una svolta importante per Cocci.
La crisi sembra aver colpito diversamente le imprese e i settori in cui operano. Anceschi infatti ci spiega che «nell’ultimo periodo la situazione sta migliorando, ma è miglioramento selettivo, non è una ripresa di cui godono tutte le aziende in ragione della quota di mercato». Certo anche lui ha dovuto far ricorso alla cassa integrazione ordinaria, ma «nell’ultimo periodo gli ordinativi si stanno riprendendo e nel giro di qualche settimana ci sarà bisogno di tutta la forza lavoro». Il bilancio resta però pesante e il 2009 si chiuderà «con un calo del fatturato intorno al 30-35%».
Il pericolo non è quindi scampato e al mondo imprenditoriale italiano serviranno degli aiuti per sopravvivere o per cercare di costruire un 2010 positivo. Ed è per questo che l’associazione di categoria per eccellenza, Confindustria, continua a chiedere un taglio delle tasse sulle imprese, in particolare l’Irap. «Sicuramente ci potrebbe aiutare – spiega Cocci -, ma si tratta di un tassello rispetto agli aiuti possibili. Per esempio, una mano potrebbero darcela anche gli enti locali, con una riduzione dell’addizionale sull’energia elettrica e sul gas o della tassa sui rifiuti».
Per Anceschi la leva fiscale resta quella vincente, perché «offre un respiro di lungo periodo», «anche se è più difficile da usare». Per affrontare la crisi nell’immediato, «gli ammortizzatori sociali restano lo strumento corretto per permettere agli imprenditori di affrontare la situazione. Probabilmente vanno allungati e mi pare che le risorse per fare questo ci siano».
I due imprenditori sembrano trovarsi d’accordo quando si parla di banche. «Il problema più grande – afferma Cocci – resta il sistema bancario, cui noi Pmi siamo in mano e che continua a remare contro di noi in maniera sfacciata». «L’accesso al credito resta in mano a pochi gruppi. Se questa situazione migliorasse avremmo dei benefici immediati». Anceschi entra nel merito e ci spiega che è stata sì «annullata la commissione di massimo scoperto, ma è stata introdotta la commissione di messa a disposizione fidi che vale l’1% del massimo utilizzo fidi o in alcuni casi l’1% del fido stesso. Le banche così ci guadagnano molto di più». Quanto ai “demonizzati” parametri di Basilea2, «erano già prima della crisi una gabbia che non poteva funzionare, perché significa dare soldi solo a chi già ne ha».
Quello della liquidità resta quindi il problema più grande. «Con l’Irap e la riforma del Tfr – racconta Anceschi – ci hanno “prosciugato” tutta la liquidità possibile e facciamo molta più fatica dei nostri concorrenti stranieri».
Ma un richiamo Cocci lo vuol fare anche alle altre imprese, ai clienti, “responsabili” del grande calo degli ordinativi. «Se diminuissero – spiega Cocci – le importazioni di capi dall’Estremo Oriente e venissero a ordinarli da noi, ci darebbero una grande boccata di ossigeno. Certamente questo potrebbe essere più facile se anche i nostri clienti registrassero un aumento delle vendite».
È quindi tutto il sistema che è chiamato a ripartire. Politica, banche e le stesse imprese sono chiamate all’azione per far in modo che la crisi possa essere un ricordo e iniziare così a percorrere la strada della ripresa che tutti speriamo non sia lunga.