Per il settore del gas naturale, a livello internazionale, il 2009 continua a essere un anno di grandi manovre. Al centro dello scacchiere, a svolgere il ruolo di attore protagonista, il gigante del gas Gazprom che, forte dei ricchissimi giacimenti siberiani, prosegue nel pianificare il suo dominio sia verso est che verso l’ovest della Russia.



La scorsa settimana, alla presenza del leader cinese Wen Jiabao e di quello russo Putin, il carismatico Alexei Miller, capo indiscusso di Gazprom, ha firmato un importantissimo accordo quadro con la “China National Petroleum”. Attraverso due grandi gasdotti da realizzarsi per collegare la Siberia con la Cina, sono previste forniture per oltre 70 miliardi di metri cubi annui.



Per avere un’idea, nel 2008 il gas consegnato ai paesi europei da parte del colosso russo è stato pari a circa 184 miliardi. La Cina, per fare fronte alla sua rapida crescita economica, ha una grande fame di energia e questa prospettiva crea le basi per una fornitura ampia e duratura nel tempo.

Da parte propria, la Russia raggiunge due scopi primari: ripagare con l’energia il prestito finanziario di oltre 25 miliardi di euro ottenuto dalla finanza cinese e incrementare la diversificazione della propria politica di esportazione del gas: questo secondo aspetto ha infatti ricadute nella estenuante competizione tra i gasdotti, facendo sembrare ormai un “grand bazar” (come lo ha definito un articolo dell’Herald Tribune) il susseguirsi di movimenti politici ed economici attorno ai progettati gasdotti europei (North Stream, South Stream, Nabucco).



Ciò che accade attorno ai gasdotti ha risvolti geopolitici importanti, come ha lasciato intendere su questo quotidiano il professor Lao Xi, partendo dal presupposto che “le forniture con condotte sono strategicamente importanti perché costituiscono un patto di lungo termine fra gli Stati”. Unica alternativa ai gasdotti, per l’Italia come per gli altri paesi europei, sono le forniture via nave; con questo sistema, le navi metaniere trasportano in forma liquefatta il gas che deve essere poi ritrasformato tramite giganteschi terminali marini. Per le lungaggini autorizzative e le criticità finanziarie, questo tipo di impianti decolla in Italia con estrema difficoltà.

In questo “bazar” ecco altri fatti, non piccoli, accaduti la scorsa settimana. Il primo riguarda l’attuale approvvigionamento verso l’Europa: tutti ricordano la tensione tra Russia e Ucraina in merito al transito in quest’ultimo paese e la chiusura delle saracinesche russe con rischi di black out energetici per i paesi dell’Est e anche per Italia e Germania. Ebbene è proprio di questi giorni l’uscita del presidente della società degli idrocarburi ucraina che ha annunciato un forte aumento (60 per cento) della tassa di transito del gas nel proprio paese. La notizia, al di là delle ricadute sul prezzo del gas naturale alle nostre frontiere, non rasserena certamente il clima con Gazprom.

Tornando ai fatti di casa nostra, c’è da evidenziare la serata di gala di lunedì a Venezia: in concomitanza dell’attracco delle prime navi metaniere al terminale GNL di Rovigo (di proprietà dell’americana Exxon Mobil e della Qatar Petroleum, con Edison che è proprietaria del 10 per cento), al teatro la Fenice è stato infatti ricevuto l’emiro del Qatar, un Stato che svolge un ruolo significativo nella politica dell’energia. L’impianto realizzato è il primo, e per ora unico, degli investimenti pianificati. Esso consente di trasportare nel Nord Italia il gas naturale prelevato da uno dei più grandi giacimenti al mondo e posizionato nell’emirato.

 

All’inaugurazione era presente il nostro capo del governo, che aveva già partecipato in precedenza alla cerimonia di conclusione delle opere. Mossa pensata forse per dare un segnale agli americani (qui presenti con il colosso Exxon Mobil), alleati che poco gradiscono l’impegno del nostro paese per la realizzazione del South Stream, il gigantesco gasdotto da 64 miliardi di metri cubi, progettato da Gazprom in cooperazione con Eni.

 

Gli Stati Uniti preferirebbero infatti la realizzazione di un altro gasdotto, denominato Nabucco, che porterebbe il gas da altri paesi asiatici, senza passare attraverso la onnipresente Russia. Nel frattempo però Berlusconi è nuovamente in visita a Putin nella sua dacia di San Pietroburgo. Nell’agenda dell’incontro, si può forse intuire, si collocano il gas naturale, il piano dei gasdotti e il tema energia nel suo complesso.

 

E veniamo infine alle iniziative del fondo americano Knight Vinke sulla proprietà del nostro campione nazionale Eni. L’animatore del fondo newyorchese Eric Knight (radici napoletane e italiano fluente) è venuto in Italia a presentare il suo progetto, sostenendo che l’attuale struttura integrata, dai pozzi al cliente finale, è penalizzante per il “Cane a sei zampe”: meglio sarebbe a suo avviso una netta separazione tra la parte che si occupa della ricerca e dello sfruttamento dei giacimenti, e le divisioni che distribuiscono e commercializzano il gas qui in Italia.

 

Knight è certo che così facendo aumenterebbe il valore della società, con soddisfazione degli azionisti e prezzi più bassi per i consumatori. Altri ritengono tuttavia che in tal modo la forza di Eni nel sostenere politiche di relazioni con Gazprom e gli altri grandi player si indebolirebbe, a tutto vantaggio di alleanze internazionali ben diverse.

 

In effetti non è questo il momento di fare lo “spezzatino” di Eni, ricercando un temporaneo e incerto aumento del valore finanziario a fronte della perdita di peso internazionale: solo una grande azienda integrata mantiene infatti le dimensioni e lo status di operatore energetico sulla piazza mondiale. Nel complesso e delicato equilibrio odierno per l’Italia è strategico avere una propria industria energetica, che consenta di tenere il piede in più scarpe, ovvero di tenere le sei zampe ben piantate ovunque.