Il governo cerca una strategia per far ripartire le riforme, perché la politica di Tremonti non basta più. Bossi spinge per avere il ministro dell’economia vicepremier, ma Berlusconi dice no. E per la prima volta non se ne assume la responsabilità diretta, ma lascia scegliere il partito. Risposta inevitabile: nel Pdl praticamente tutti, tranne i leghisti – ma anche il fronte Lega è composito – mal sopportano l’arroganza del ministro, che iscrive d’ufficio nel “partito della spesa” chiunque alzi il dito per proporre un cambio di passo e accelerare le riforme. Le riforme costano, non si può, è la risposta. Ma crescita e rigore si escludono a vicenda? Lo abbiamo chiesto a Paolo Cirino Pomicino, ministro del Bilancio nella “famigerata” Prima repubblica.



Siamo alla resa dei conti tra il ministro Tremonti, che non vuole toccare i conti pubblici, e il variegato fronte del cosiddetto “partito della spesa”. È una vera alternativa?

Prima di dividere in modo semplicistico i buoni dai cattivi, mi limiterei ai dati. Sono anni che la nostra politica economica porta la firma del ministro Tremonti, che ha governato l’economia italiana per cinque anni negli ultimi otto. E proprio i dati della sua gestione sono devastanti.



Non è un giudizio troppo severo? Anche l’Europa ha elogiato il nostro rigore.

Mi lasci finire. Nei primi anni duemila il deficit è aumentato ed è stato azzerato l’avanzo primario – cioè il saldo tra entrate e uscite al netto degli interessi – e la crescita della nostra economia è stata penultima all’interno dei paesi della zona euro. Negli ultimi due anni il differenziale si è ulteriormente aggravato. È pur vero che c’è stato l’effetto della crisi, e che i dati vanno depurati dal suo effetto contingente, ma è anche vero che siamo entrati in recessione – unico tra i paesi della zona euro – già lo scorso anno, quando abbiamo fatto segnare una crescita negativa dell’1 per cento, mentre i paesi della zona euro crescevano in media dello 0,7.



Ma allora quando sono cominciati i nostri problemi?

Andiamo per gradi. Questa entrata in recessione è stata aggravata dalla cosiddetta finanziaria del giugno 2008, la famosa finanziaria approvata in Consiglio dei ministri in 9 minuti e mezzo. È stata una finanziaria recessiva, che non solo non ha fermato il deficit, perché quest’anno raggiungeremo un rapporto deficit/Pil superiore al 5 per cento; ma non ha nemmeno toccato in chiave positiva la crescita. E il debito pubblico previsto per il 2010 è addirittura pari al 120 per cento del Pil.

Conclusione?

Se il debito e il deficit, cioè quello annuale e quello accumulato, avessero avuto una sorta di contenimento, o un incremento legato esclusivamente agli effetti della crisi, Tremonti avrebbe ragione. Ma i fatti lo smentiscono la sua politica attendista e velleitaria ha ottenuto l’esatto contrario di quel che si era prefissata.

Anche le voci più prudenti, senza iscriversi al partito spendaccione, riconoscono che la crescita è necessaria se non vogliamo soccombere. Lei che ne pensa?

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È ovvio. Non ci sono il rigore da una parte e la crescita dall’altra. La crescita è l’unico modo per risanare i conti pubblici. Il rapporto deficit/Pil è un rapporto tra la spesa e la ricchezza, cioè il prodotto interno lordo. Ma se il Pil non cresce o cresce in maniera insoddisfacente, come fa l’altro a ridursi? Sembra semplice, ma la realtà è che la politica economica è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai tecnici. Bisogna lanciare l’allarme: salvate il soldato Italia.

 

Via dunque alle riforme. Cosa deve fare Berlusconi?

 

Ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie. Questa è la riforma da fare subito, quella che può attivare i consumi e gli investimenti privati e dunque avviare uno sviluppo virtuoso. Naturalmente nessuno pensa di finanziare la riduzione delle tasse in disavanzo; ma ritengo che si possa farlo recuperando risorse all’interno dello stesso bilancio dello stato. Gli spazi finanziari per farlo ci sono.

 

Si può rendere più efficiente la macchina dello stato tagliando la spesa inefficiente.

 

Ma non si può risanare solo a suon di tagli, perché se Tremonti taglia 15 miliardi di euro in tre anni, come ha fatto la sua finanziaria, deve anche avere la pazienza di dire quali sono le funzioni che non devono più svolgersi. Va bene arginare lo spreco, ma questo può ammontare massimo a due o tre miliardi. Non possono essere 15 miliardi. Se lasciamo intatte le funzioni che le amministrazioni centrali dello stato devono svolgere ma togliamo loro i fondi alimentiamo il debito sommerso. Perché non parliamo dei debiti della Pa verso terzi, che al 31 dicembre 2007 erano apri a 70 miliardi?

 

In effetti è una cifra esorbitante, che tiene dentro anche il gettito Irap.

 

Con la differenza che il privato creditore non può farsi valere e può solo aspettare, ma quando ad essere creditore è lo stato, se il cittadino non paga entro i termini prestabiliti si attivano i procedimenti. E nell’ultimo decreto anticrisi si dice che i debiti pregressi della Pa possono essere pagati dopo un nuovo monitoraggio straordinario. L’ultima trovata inaccettabile per guadagnare altro tempo.

 

Come si risolverà lo scontro sulla politica economica che divide Tremonti dal capo del governo?

 

Non si risolverà, perché Berlusconi è attaccato su tutti i fronti, ha paura della Lega e non ha il coraggio politico di sollevare Tremonti o imporgli una linea di politica economica alternativa. Il fatto più preoccupante è che ad esonerare Tremonti dovrebbero essere i risultati di cinque anni di politica economica che non ha portato il paese da nessuna parte. Ma questo non avviene.