Cominciamo con una bella carrellata di dati macroeconomici. Il sentiment dei consumatori tedeschi probabilmente subirà una lieve flessione a novembre, appesantito da aspettative più basse sui redditi e da una diminuita propensione agli acquisti. L’indice GfK, basato su un sondaggio rivolto a circa 2mila tedeschi, per novembre è sceso a 4,0 da 4,2 di ottobre: si tratta della prima flessione da settembre 2008. La previsione degli economisti indicava per novembre una lettura di 4,5.
Inoltre arrivano segnali di allerta da parte del governatore della Banca di Francia, il quale mette in guardia sui comportamenti bancari potenzialmente rischiosi e consiglia al sistema finanziario di risparmiare capitale, invece che accordare bonus o dividendi. «Ci sono segnali che parte dell’industria finanziaria abbia ricominciato con pratiche di assunzione del rischio analoghe a quelle che hanno portato alla crisi», avverte. Evviva.
Se poi varchiamo l’Atlantico, di male in peggio. Goldman Sachs ha tagliato le previsioni sul Pil Usa del terzo trimestre – il cui dato ufficiale verrà comunicato oggi – dal 3 al 2,7%. Sempre dagli Usa arriva il dato sull’indice FED Chicago che a settembre peggiora lievemente a -0,81, segnando un inatteso calo ad ottobre per la fiducia dei consumatori americani, zavorrata dalle pessimistiche prospettive del mercato del lavoro. L’indice elaborato dalla Conference Board è calato a 47,7 punti, dai 53,4 del mese precedente, a fronte di attese degli analisti che in media lo volevano a 53,1 punti. Secondo questa indagine le valutazioni dei consumatori americani sul quadro attuale dell’economia sono ai livelli più deboli da circa 30 anni a questa parte.
E poi ancora la vendita di nuove case negli Usa cala a sorpresa a settembre e scende del 3,6% al tasso annuale di 402mila unità, a fronte delle 417mila di agosto (dato rivisto dalle iniziali 429mila unità): gli analisti si aspettavano un aumento a 440mila unità. Non male.
In compenso, nel miglior stile hollywoodiano del creare il colpo a sensazione pur di distogliere l’attenzione dai problemi reali, la Sec, l’entità di controllo dei mercati statunitensi, intende varare delle nuove regole per limitare il “libero accesso” di trader, broker e scambisti alle contrattazioni ultraveloci in borsa. Il presidente della Sec, Mary Schapiro si è detta preoccupata per questo eccessivo libero accesso, che paragona a «dare la propria auto a un amico che non ha la patente, facendolo guidare senza accompagnatore».
La Schapiro fa sapere di aver dato disposizioni al suo staff di studiare delle regole in grado di selezionare queste pratiche di trading impedendo il libero accesso a soggetti non abilitati: complimenti, un bel cucchiaino per svuotare l’oceano. Se tutto il male del mondo passasse dal “flash-trading” la crisi si sarebbe risolta in un weekend.
In compenso la Cina prevede un aumento del 16% della produzione industriale nel quarto trimestre, a fronte del +13,9% del terzo trimestre. Lo rende noto il ministero del Commercio, secondo quanto riportato da Bloomberg: inoltre sempre il ministero fa anche sapere che gli investimenti all’estero sono cresciuti del 190% nel terzo trimestre e sono quasi triplicati a luglio rispetto allo scorso anno a quota 20,5 miliardi di dollari. Anche in questo caso, nulla che voi lettori non sappiate da almeno un paio di mesi.
Ciò che ancora non sapete è, invece, quali sia il sentiment e il modus operandi dei grandi broker e grandi gestori di fronte a questa situazione di scollamento tra mercati ed economia reale, ovvero Borse che sembrano continuare a tirare e dati macro che parlano la lingua della crisi più nera. Primo, il monetario. Nelle segrete stanze delle grandi banche d’affari della City c’è ormai una certezza: la sterlina, da qui a marzo, scenderà sotto la parità con l’euro e più precisamente si pensa a una fluttuazione attorno allo 0,95. Un euro così forte, ammesso che la debolezza del dollaro prosegua a questi livelli, significa una zavorra per l’export dell’eurozona: speriamo che alla Bce abbiano analisti in gamba come quelli della City.
Secondo e più grave da un certo punto di vista, il mercato è pericolosamente sovrabbondante di cash a costo zero. Girano, insomma, quantità di soldi spaventose e siccome mantenere cash o mettere in banca è follia quando si parla di centinaia di milioni si continua a restare in giostra sul ciclico: si esce quando si pensa che ci sia il tonfo, ma dopo tre giorni si torna a investire. E a fare tanti, tanti soldi. Il portafoglio medio di un grosso gestore di una banca d’affari, prima della crisi, era tranquillamente di 800 milioni di dollari. Durante il grande tonfo, si era assottigliato a 250. Ora si torna a viaggiare su cifre di 500-600 milioni di portafoglio: il 20% circa resta cash, il resto rimane in circolo.
Il perché è presto detto: con i tassi a zero e i governi che pompano stimoli stampando denaro dal nulla è chiaro che ci si trova di fronte a una sovrabbondanza di denaro, il cosiddetto “muro di liquidità” e questo permette ai mercati di viaggiare spesso come locomotive nonostante “main street” faccia i conti con una depressione spaventosa. E questo è destinato a perdurare visto che la messe di denaro è tale da mantenere i book liquidi ancora per un po’ e soprattutto perché né la Bce, né la Bank of England, né la Fed hanno la minima intenzione di alzare i tassi a breve.
Tutto questo denaro, però, sta creando una bolla spaventosa che prima o poi è destinata a scoppiare, sia in caso di rialzo dei tassi, sia per un’inversione dei corsi che potrebbe essere garantita da un’altra – molto probabile – crisi bancaria ad inizio del prossimo anno dettata da svalutazioni che i vari CeO definiranno con viso contrito “inaspettata”.
Marzo, stando al giudizio di un grande broker Usa, sarà il mese della resa dei conti. Ecco cosa ci ha detto: «Qui negli Usa a febbraio si comincia ad avere la febbre per le finali del basket universitario, il campionato Ncaa. A marzo, poi, il paese impazzisce: la chiamiamo proprio così, “march madness”, la follia che pervade tutti in concomitanza con le gare decisive. Beh, penso che l’euforia da liquidità finirà in concomitanza di quel periodo ma, in quel caso, non ci sarà da godersi lo spettacolo con birra e pop corn in mano. In molti, a gennaio, cominceranno a scaricare e coprirsi: d’altronde, bisogna dirlo. Questo falso mercato del toro garantito dai soldi dei contribuenti a fatto fare miliardi e miliardi di dollari a chi aveva fondi e un buon gestore». Capitalismo in salsa sovietica, insomma.
Verrebbe voglia di non guardare nemmeno più gli indici, i dati macro, smetterla di studiare i grafici e arrovellarsi con i corsi e trend, farla finita con la caccia alla verità seguendo come segugi le tracce lasciate dalle commodities. Ieri la Borsa scendeva, a causa dei dati Usa e delle debolezze bancarie europee, ma questo non significa che il mercato abbia una sua logica liberista: è tutto drogato dai governi, è una rappresentazione kafkiana della distorsione statale più bieca.
In questi mesi, con le loro assurde e ciclopiche misure di stimolo, i governi hanno solo concesso alle banche di fare cassa e riserve e a chi poteva permetterselo di rifarsi con abbondanti interessi di quanto perso nel post-Lehman: hanno anche fatto due G20 per arrivare a questa follia da collettivisti dell’opzione call.
Nessuno di chi doveva ha imparato nulla da questa crisi, siamo giunti al paradosso di sperare che la “march madness” arrivi davvero a rimettere le cose apposto. Visto che chi è preposto a farlo nella migliore delle ipotesi non lo sa fare oppure, nella peggiore ma non più peregrina, è in combutta con Wall Street per salvarsi la pellaccia al più alto prezzo possibile. Ne riparleremo a breve.