Si è arrivati a un nuovo “punto di partenza”, oppure a una “nuova svolta”. Quando si parla di Telecom Italia, inevitabilmente, si usano questi luoghi comuni che non significano assolutamente nulla e si assiste sempre a una sorta di “telefono” che sembra permanentemente in stand-by.
Un anno fa, Gilberto Benetton aveva già preannunciato il disimpegno della famiglia di Ponzano Veneto dalle telecomunicazioni che, attraverso Sintonia, controlla il 2% di Telecom Italia, e l’8,4% di Telco, la holding di riferimento nel capitale del colosso delle telecomunicazioni italiane. Mercoledì, mentre gli altri soci di Telco rinnovavano il patto fino all’aprile del 2013, i Benetton hanno ufficializzato definitivamente il loro disimpegno.
All’interno di Telco c’è un socio industriale molto forte, la spagnola Telefonica, che nella holding controlla il 42,3%, corrispondente nel più ampio capitale di Telecom a una quota del 10,3%. Gli altri “grandi soci” di Telco sono ormai solo tre grandi realtà finanziarie italiane: Generali, Intesa San Paolo e Mediobanca. La presenza di Sintonia assicurava sostanzialmente un contrappeso italiano abbastanza significativo alla presenza spagnola.
La “grande crisi”, certamente, ma anche la situazione di perenne incertezza di Telecom, ha causato perdite troppo consistenti ai Benetton. Si dice che la loro “bolletta”, in otto anni di presenza nel campo delle telecomunicazioni, abbia avuto un costo (minusvalenze) pari a 1,8 miliardi di euro.
Se con Sintonia al suo interno, la holding Telco controllava il 24,5% di Telecom, occorrerà vedere ora che tipo di aggiustamenti di quote si verificherà. Saranno i “grandi soci” a colmare la quota dei Benetton? Oppure si può pensare a una “new-entry”, come la Findim Group di Marco Fossati, che ha in portafoglio ben il 5% del capitale di Telecom Italia?
Il problema di un nuovo assetto non è certo secondario, ma tuttavia non sembra ancora il problema principale di Telecom Italia, società che fin dalla sua costituzione ha vissuto momenti sempre problematici, che poi sono diventati “problematicamente endemici” dopo l’uscita di Marco Tronchetti Provera. Basta pensare al motivo per cui si ritiene che la famiglia di Benetton abbia deciso di disimpegnarsi.
A parte la “bolletta” molto salata, da molti mesi, a quanto pare, il socio Sintonia sottolineava la necessità di obiettivi strategici e soprattutto (in questo non era solo) di un piano industriale di rilancio. Ma i problemi di Telecom, ereditati anche dal ticket Galateri di Genola-Bernabè, sembrano troppo complessi per predisporre al momento, oppure in tempi ravvicinati, un grande rilancio del colosso delle telecomunicazioni italiane.
In realtà, la società guidata da Franco Bernabè si trova quasi in una “palude” per due ragioni principali: il forte indebitamento da un lato e la presenza proprio di un grande socio industriale come la spagnola Telefonica. Se l’indebitamento impone razionalizzazioni in Italia, il grande socio iberico, nonostante le speranze iniziali, si è rivelato “invadente suo malgrado”, nel senso che, nel mondo complicato delle telecomunicazioni e dei controllori nazionali, Telefonica, sia in Brasile che soprattutto in Argentina, ha condizionato e condiziona l’espansione di Telecom al’estero.
Oltre a questo, c’è un altro nodo che non si riesce a sciogliere. C’è ad esempio chi parla di una necessaria e maggiore integrazione tra Telefonica e Telecom. Ma anche in questo caso si cammina su un sentiero difficile, perché nessuno vuole andare contro un pensiero espresso chiaramente, in più di un’occasione, dal governo: un asset strategico come la rete telefonica non può passare in mano a un gruppo straniero.
Insomma, intorno a questo groviglio, Telecom resta sempre al “palo” e le discussioni alla fine restano “tutte interne”, alimentando sempre voci di ricambio del management, che non aiutano certamente a dare un’immagine ben definita della grande azienda.
L’obiettivo di rilancio dovrebbe sempre partire quindi dalla salvaguardia dell’italianità della struttura di Telecom e della rete che servirebbero da una base possibile e credibile per l’affare del futuro, per lo sviluppo di quella che in sigla viene chiamata Iptv e che in sostanza è la televisione via Internet. Ma anche in questa prospettiva si affacciano problemi all’orizzonte e si prefigura una futura “grande guerra” delle telecomunicazioni. Si sa ad esempio che Rupert Murdoch è da tempo interessato ad alcuni asset televisivi di Telecom e ne parlò, nell’estate del 2006, direttamente con Marco Tronchetti Provera.
Dall’altra parte, c’è un vecchio piano che prefigurava addirittura una sinergia, o qualche cosa di più, tra la stessa Telecom e Mediaset, con inevitabili conseguenze di carattere politico e di conflitti di interesse. Alla fine, a forza di non decidere e di schivare i problemi, è possibile che il patto di Telco si chiuda nella prossima primavera, anche se è stato rinnovato fino al 2013. E dopo? L’uscita dei Benetton è solo la “spia” di un disagio per un grande business del futuro che non decolla mai.