La scorsa settimana una delegazione governativa italiana, guidata dal ministro Claudio Scajola, si è recata in visita a Washington per incontrare il Segretario generale dell’Energia Steven Chu ed il suo staff: tema centrale un accordo quadro in materia di energia nucleare, per creare la base di collaborazioni di natura innanzitutto industriale e commerciale.



Gli Stati Uniti d’America hanno dato sempre risalto esplicito all’amministrazione pubblica delle politiche energetiche: il Doe (Department Of Energy) ha mantenuto infatti negli ultimi decenni un ruolo centrale nelle politiche nazionali ed internazionali americane. Nonostante questo, quel paese non è certo un esempio virtuoso. Due sono i problemi principali: eccesso nei consumi ed elevate emissioni nell’ambiente. Dalle auto ai frigoriferi, i consumi specifici di energia degli americani sono ancora molto alti e fuori controllo. Le molte centrali a carbone o a olio sono inefficienti e le emissioni di CO2 troppo elevate. Gli Usa sono quindi destinati a scegliere una politica che opti con decisione sia per l’efficienza energetica che per fonti di produzione che limitino le emissioni della CO2 in ambiente investendo sulle energie alternative, ovvero nucleare e rinnovabili. In questo scenario, Obama ha collegato la nuova politica energetica con la creazione di investimenti in infrastrutture e occupazione per nuove tecnologie.



Il Doe è il regista di questa politica e l’attuale segretario Steven Chu, nominato da Obama, ha ulteriormente incrementato il ruolo del “suo” dipartimento, sia per la personale autorevolezza che per la spinta sul tema energetico voluta del neo presidente. Il valore della visita di una delegazione governativa italiana è perciò tutt’altro che un episodio secondario.

Da parte sua, sul versante dell’energia il governo italiano si trova soprattutto nella necessità di mettere in pratica il percorso per il rilancio della produzione di elettricità con fonte nucleare ed il cammino è indubbiamente complesso e richiede di procedere a tappe forzate.



In questo senso, le alleanze con paesi che già operano nel settore sono un passaggio irrinunciabile. Lo scorso 24 febbraio i capi del governo francese ed italiano hanno firmato un accordo in materia di formazione e ricerca. A margine di esso, Enel ha sottoscritto con Edf un impegno per la realizzazione di quattro centrali in Italia (il relativo veicolo societario, denominato “Sviluppo Nucleare Italia”, è stato costituito lo scorso agosto). La tecnologia scelta è quella resa disponibile dal colosso industriale francese Areva e che è nota con il nome di Epr.

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Nel corso della trasferta negli Stati Uniti, dopo qualche mese, forse con inescusabile ritardo e su sollecitazione americana, sono stati firmati un memorandum sulla cooperazione nella ricerca e sviluppo nel campo del nucleare civile e la “dichiarazione congiunta” fra i governi statunitense ed italiano in materia di “cooperazione industriale e commerciale nel settore dell’energia nucleare”.

In questa collaborazione  Italia-Usa, pur nella genericità dei testi firmati, ci sono almeno tre aspetti che incidono nel risiko industriale nucleare italiano. Innanzitutto, alla tecnologia Epr francese da 1600 MW (Areva) si affianca ora quella dell’ Ap1000 da 1100 MW: si delinea una minimale competizione tecnologica che assicura qualche elemento di flessibilità sulle dimensioni della centrale in termini di potenza e di collocazione nei siti. Si apre infatti la possibilità per Westinghouse e General Electric di partecipare alla necessaria convalida delle rispettive tecnologie e di presentarsi ad eventuali gare, anche se sei mesi di ritardo avvantaggiano probabilmente Areva.

Il secondo elemento riguarda la genovese Ansaldo, che si assicura il ritorno a pieno titolo nella partita nucleare, grazie all’accordo con Westinghouse divenendone il principale cooperatore industriale per l’Ap1000, non solo per eventuali impianti nazionali ma anche per quelli cinesi o altre realizzazioni.

Una terza interessante questione, più incerta nelle sue conclusioni, riguarda lo spazio che si apre per altre Utility, differenti dalla cordata Enel-Edf: questi partner ancora non sono venuti allo scoperto, ma i candidati, anche europei, non mancano: in prima fila forse Eni.

Il ministro Scajola ed il suo staff proseguono quindi nella loro marcia: porre la prima pietra nel 2013 e immettere i primi chilowattora in rete entro il 2019. ma, salutato Chu e rientrato a Roma, il ministro ha ritrovano gli ostacoli di casa: sono già dieci le Regioni che hanno presentato ricorso alla Corte costituzionale contro la legge (n. 99 dello scorso luglio). La strada dell’atomo richiede il presidio di molti fronti. Oltre agli accordi internazionali urgono più che mai azioni di informazione, divulgazione e compensazione con la collettività nazionale. Il “nucleare” è sicuro e maturo, ma la via per il suo rilancio non è una passeggiata.

 

 

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