In un recente articolo su ilsussidiario.net, Giorgio Vittadini ha esortato la “cattolica Italia” ad “andare a lezione da Francia e Germania” in tema di aiuti alla famiglia, un soggetto troppo spesso dimenticato, se non bistrattato, dalle politiche economiche. Purtroppo l’elenco dei Paesi europei che ci sopravanzano in questa lodevole azione sussidiaria è molto più ampio, visto che siamo quasi all’ultimo posto in Europa per spesa pubblica destinata a questa basilare forma di organizzazione sociale.



Uno studio, realizzato dal portale famigliaonline sulla base dei dati Eurostat, ha effettuato una comparazione, relativa al periodo 2000-2007, dagli esiti interessanti quanto sconcertanti. In pratica solo la “zapateriana” Spagna si comporta peggio di noi.

Pur essendo un Paese di tradizione cattolica, in Italia nel periodo tra il 2000 e il 2007 è stato investito in media solo tra lo 0,9% e l’1,1% del Pil. In pratica, meno della metà della media di Paesi come Svezia, Regno Unito, Francia e Germania. Nel 2007 per interventi dedicati alla famiglia e ai minori nel nostro Paese sono stati investiti in media poco meno di 280 euro pro capite contro una media della Ue a 15 Paesi superiore a 560 euro e notevolmente al di sotto di Stati come Regno Unito e Svezia, che sono in grado di spendere rispettivamente quasi 800 euro e più di 900 euro annui pro capite a favore delle politiche famigliari.



Guardando ai numeri Eurostat, la prima anomalia che balza all’occhio è costituita dal fatto che in Italia il welfare è fortemente sbilanciato sulla previdenza. Alle pensioni di vecchiaia (sempre dati 2007) sono destinate risorse pari al 67% del totale della spesa sociale, una soglia che supera di ben il 15% la media europea. Anche le pensioni di reversibilità, che costituiscono il 14% della spesa sociale complessiva, nella media europea restano invece sotto l’8%. Alla famiglia, infine, resta appena il 5,8% per un ammontare di 16,5 miliardi.

Al contrario, i modelli di welfare prevalenti all’estero da molti decenni prestano grande attenzione alle problematiche della famiglia, a cui vengono destinate quote oscillanti tra il 10 e il 15% di tutte le spese sociali. Anche un Paese ateo e recentemente entrato a far parte dell’Unione europea come la Repubblica ceca nel 2007 ha investito il 16% (cioè quasi tre volte tanto la quota dell’Italia) della propria spesa sociale a favore di famiglie e minori.



 

Ma il dato più eclatante cui giunge la ricerca di famigliaonline riguarda l’entità dell’impegno che l’Italia è chiamata a sostenere per colmare il gap che la separa con il resto dell’Europa. Infatti per riportare la situazione in equilibrio occorrerebbe destinare alla famiglia e all’infanzia risorse pari a 15 miliardi di euro. In pratica, una Finanziaria di medie dimensioni.

 

È chiaro dunque che si rende necessario un cambio di marcia importante. La firma del Trattato di Maastricht, la rincorsa all’euro, i patti di stabilità esterni e interni hanno costretto l’Italia a darsi una regolata sui conti pubblici, ma la riduzione della spesa va ora aggiustata tagliando le rendite improduttive e calibrando la destinazione dei fondi adeguandoli ai nuovi bisogni della società e della famiglia.

 

Scelte politiche che richiedono coraggio e lungimiranza, ma un’opportunità da cogliere subito c’è: visto l’elevato gradimento che sta riscuotendo lo scudo fiscale (le stime parlano di rientri di capitali che possono arrivare fino a 300 miliardi) è auspicabile che non venga lasciata cadere l’intenzione, manifestata dal Governo, di destinare parte di queste risorse extra proprio a favore delle famiglie, a partire da quelle più povere e più numerose.

 

(Marco Tedesco)