Alla fine, le maestrine di Bruxelles hanno portato a compimento il loro compitino. Sono partite, infatti, le procedure per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia e di altri otto Paesi Ue che sforeranno il 3% nel rapporto deficit-Pil. «In questi nove Paesi gli squilibri non sono né prossimi al valore di riferimento del 3% né temporanei», dice la Commissione Ue. In Italia si attende una ripresa «molto debole nella seconda metà del 2009 che proseguirà probabilmente in maniera lenta».



Accidenti, meno male che ce lo hanno detto! E ancora. «Il pacchetto di misure anticrisi rappresenta un’adeguata risposta alla recessione. Ma l’Italia nel 2009 avrà deficit e debito pubblico troppo elevati, a un livello che non soddisfa i criteri del Trattato Ue», si legge nella nota. Bruxelles rileva, in sintesi, che questa situazione deriva in parte dagli effetti della crisi e in parte da altri fattori strutturali, tra cui una spesa pubblica che resta elevata.



Il deficit – si legge – programmato dal governo italiano al 5,3% «va oltre e non è prossimo al valore di riferimento del 3% e sebbene possa essere considerato come eccezionale, non può essere considerato temporaneo». Il debito, poi, programmato al 115,1% del Pil nel 2009, per la Commissione Ue «non diminuisce in maniera sufficiente, con un andamento verso il valore di riferimento non soddisfacente». Oltre all’Italia, le procedure per deficit eccessivo riguardano Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Slovacchia, Slovenia, Olanda e Portogallo. Praticamente tutti.

Come anticipato, i ragionieri dell’Unione hanno emesso il loro verdetto: va bene così, il problema dell’Italia non è certo l’eccezionalità del momento dovuta dalla crisi, ma la cronica incapacità di riforme che vedrà il debito andare ben oltre le previsioni e sfondare quota 120%. Gli Stati, insomma, cominciano a pagare il conto al diluvio di soldi gettati nel sistema bancario per mantenerlo artificialmente in vita e ora si attrezzano, chi più chi meno, per tamponare l’ondata di disoccupazione che colpirà Eurolandia da adesso alla prossima primavera.



Certo, i governi hanno le loro colpe e negarlo sarebbe assurdo. C’è però qualcosa di più grave che sta accadendo là fuori nel silenzio compiacente di media e cosiddetti regolatori: l’assalto alla diligenza che porterà a una possibile nuova ondata di crisi finanziaria con l’inizio del nuovo anno. Anche il vate Nouriel Roubini, l’altro giorno, ha constatato come il rally borsistico che abbiano vissuto da marzo a oggi sia stato essenzialmente frutto del «muro di liquidità» fornito dai governi e dalle altre varie entità istituzionali ai mercati.

Si chiedeva ieri il sito Cnbc: «Cosa sarà dell’azionario quando le politiche di stimolo finiranno?». Difficile dirlo con esattezza, la sola cosa chiara è che dobbiamo attenderci una correzione dei corsi almeno del 20% e questo potrebbe colpire non poco i settori più esposti, primo fra tutti quello bancario. Su cui, invece, invita gli investitori a scommettere Bank of America-Merrill Lynch nel suo ultimo report. Sì, avete capito bene: in un periodo in cui i gestori e i broker seri cominciano a comprare difensivo, Merrill invita a gettarsi sul ciclico e in particolare sul bancario. Il perché è presto detto: le performance ottenute in questi mesi di rally. Come siano state ottenute, cari lettori, lo sapete bene perché ne abbiamo già diffusamente parlato.

Qualcosa non va: prima Morgan Stanley che raddoppia senza motivo il target price di Fiat pur sapendo che i soli, potenziali incentivi di Stato non saranno sufficienti a superare la bufera che il mercato auto patirà da questo mese in poi; dopo Merrill Lynch che invita a gettarsi non solo sull’azionario ma addirittura sul settore più fragile e a rischio in assoluto. Una cosa è vera, sul breve si possono fare bei soldi ma quel report non si intitola “prendi i soldi e scappa”, è un upgrading del settore perché lo si vede ormai fuori dal tunnel e decisamente in salute.

 

È questa la cosa grave, il fatto che questa crisi non abbia insegnato nulla ai suoi principali protagonisti e responsabili. Anche perché, stando al giudizio di Michael Pento della Global Delta Advisors, «una nuova, grande bolla è già stata creata mentre si stava cercando di porre rimedio a quella precedente, ed è la bolla del debito americano. Quando questa esploderà – ed esploderà di certo – non ci sarà più nessuno in grado di salvarci come ha fatto fino ad oggi il governo. Stiamo tutti preparandoci al peggior scenario possibile».

 

Già, perché come rivelava Robert Fisk sull’Independent, si sarebbero già tenuti incontri segreti tra ministri delle Finanze e governatori delle Banche Centrali di Russia, Francia, Cina, Giappone e Brasile per lavorare insieme a un progetto a dir poco rivoluzionario: pagare il greggio non più in dollari ma attraverso un paniere di monete che comprenderebbe lo yen e lo yuan cinese, l’euro e l’oro.

 

I Paesi arabi petroliferi – il Consiglio di Cooperazione del Golfo, che comprende Arabia Saudita, Kuweit, Dubai e gli Emirati – sono stati messi al corrente del piano e avrebbero accettato: anzi, starebbero approntando una loro moneta comune da far entrare nel paniere. La diversificazione degli investimenti, ad esempio quella cinese, sta già erodendo la forza del dollaro, il quale paga con una debolezza terribile i tassi quasi a zero, il debito esterno e il debito pubblico che sta schizzando al 100% sul Pil. Trattare anche il petrolio con altre valute significa distruggere l’egemonia del biglietto verde e piegare gli Usa.

 

Alla Bce, meglio tardi che mai, se ne sono accorti e fanno sapere che «il problema non è il tasso di cambio del dollaro con l’euro ma la relazione tra il dollaro e alcune valute asiatiche, tanto per citarne una lo yuan cinese». Siamo al mismatch tra il vecchio blocco di potenze – Usa, Europa e Giappone – contro i paesi emergenti che necessitano di valute forti per riflettere il loro dinamismo e la loro capacità di crescita. La questione, qui, è un nuovo ordine mondiale alle porte. Non la procedura d’infrazione dell’Ue.