Sono passati quattro anni e siamo ancora qui ad auspicare l’emanazione di un provvedimento che renda stabile il cinque per mille. La prima stesura della norma, evidentemente sperimentale, risale infatti al 23 dicembre 2005: la legge 266/05, finanziaria per il 2006, all’articolo 1 comma 337 disponeva la possibilità per il contribuente di destinare una parte delle proprie imposte a enti da lui stesso scelti.
La norma ebbe subito un grandissimo successo: innanzitutto, il mondo del non profit – mobilitatosi in massa – dimostrò di avere il gradimento della gran parte dei soggetti che effettuarono la scelta. Infatti, dei 345 milioni di euro destinati, 329 furono a favore di onlus, associazioni di promozione sociale e altri enti del libro I del codice civile. Le persone fisiche che effettuarono la scelta furono oltre 15 milioni, e le scelte indicarono 29.532 enti (di cui 20.532 soggetti non profit).
Da pochi giorni sono stati pubblicati anche i dati relativi al cinque per mille 2007: nonostante si sia trattato di un anno difficile – in cui una prima stesura della norma prevedeva un tetto di spesa insufficiente a coprire l’importo corrispondente alle scelte attese – 31.776 enti hanno ottenuto preferenze e il cinque per mille complessivamente destinato è risultato essere pari a 371 milioni di euro.
Nonostante questi dati così significativi, la legge finanziaria attualmente in discussione non prevede l’inserimento del cinque per mille per l’anno 2010, né la tanto auspicata stabilizzazione. Bisogna dire che in molti si sono mossi favorevolmente: certamente l’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà ha fatto propria la richiesta del non profit italiano e da tempo lavora alla norma di stabilizzazione.
Una agenzia di ieri riporta – per voce del Vice Presidente della camera Maurizio Lupi – l’impegno dell’Intergruppo a presentare un emendamento alla finanziaria che inserisca il cinque per mille in sede di approvazione della stessa alla Camera. È di due giorni fa, inoltre, una dichiarazione del sottosegretario Luigi Casero che, in aula del Senato, ha parlato di “norma di civiltà fiscale”, riferendosi – appunto – alla nostra legge preferita.
Dunque, il cinque per mille lo vogliono in molti. È chiaro che c’è un problema di copertura della spesa. Ma, soprattutto quando i soldi scarseggiano, diventa di fondamentale importanza scegliere di spenderli in maniera efficace rispetto a uno scopo ritenuto prioritario.
Che le realtà del privato sociale siano gli assoluti protagonisti del nostro sistema di welfare è un dato difficilmente obiettabile; come è oggettivamente documentata la situazione di progressivo impoverimento economico e sociale di una parte importante della popolazione (in proposito, suggerisco la lettura del “Rapporto sulla povertà” recentemente presentato dalla Fondazione per la Sussidiarietà), che si trova ad avere come unico argine la rete di carità che nel nostro paese è costituita dagli enti religiosi e caritativi.
Queste realtà di welfare sono spesso in situazioni di difficoltà economica e finanziaria molto gravi, a cui suppliscono con il lancio del cuore oltre l’ostacolo che solo una gratuità tenace e radicata permette. Il cinque per mille è per molte di queste opere un aiuto importante. Essendo così ragionevole la sua stabilizzazione, perché permaniamo in questa irragionevolezza?