Ufficialmente l’Italia è uscita dalla recessione con gli ultimi dati sul Pil. Un’inversione di tendenza che fissa finalmente un dato di crescita. Gli indicatori e i segnali che si colgono un po’ ovunque, nonostante la doverosa prudenza, descrivono la “coda” della Grande Crisi. Eppure si tira più un sospiro di sollievo, che aria di grande ottimismo. Alcuni grandi imprenditori, come Giorgio Squinzi per esempio, sembrano più prudenti in questo momento che nei momenti peggiori della crisi.



L’impressione è che si è superato quello che, ancora all’inizio di marzo, sembrava un autentico collasso del sistema finanziario mondiale e la prospettiva di un periodo di recessione mondiale che sarebbe durata diversi anni. Questo è stato scongiurato. Tuttavia i tempi della ripresa si dimostrano lenti e a volte contrastati. In più c’è qualche casa che sfugge alla comprensione delle vicende economiche del futuro. Realisticamente, sono quegli stessi grandi imprenditori che sostengono un “raschiare in fondo al barile” per tutto il 2010 e poi la prospettiva di una autentica ripresa nel 2011.



L’incertezza si vede da un lato all’altro dell’Atlantico. I ragguagli settimanali sull’occupazione negli Stati Uniti danno una frenata alla lista dei sussidi per la disoccupazione, ma la previsione è che l’inversione di tendenza avverrà a gennaio, quando si sarà raggiunto il “picco” della disoccupazione,
che sfiorerà o supererà l’11%.

In sostanza, tutti gli operatori economici e tutti gli osservatori stanno inquadrando un momento di passaggio dall’anno più acuto della crisi a quello dell’uscita. Ma i bilanci di quest’anno fotografano la situazione dell’anno che sta passando, non quello che deve venire. In più, c’è un’incertezza di fondo: si è compreso veramente fino in fondo il meccanismo che ha portato a questa crisi e le soluzioni per risolverla? C’è chi sostiene che in questo ventunesimo secolo si sia entrati in una fase economica dove tutti gli strumenti e le analisi del Novecento siano insufficienti a comprendere esattamente quello che è avvenuto e quello che avverrà in futuro. Tutte le teorie sembrano quasi appendici di “ideologie superate” in campo economico.



Siamo in una situazione differente, sia rispetto al 1929, ma anche rispetto all’ottobre del 1987, quando Wall Street, in piena “reaganomic”, crollò in valore del 22%. Nessuno si allarmò più di tanto, perché tutti pensarono a strumenti ormai conosciuti e collaudati per rimettere in sesto
finanza ed economia. E in effetti, quella crisi dovuta ai junke bond terminò molto presto.

Ma oggi c’è un’altra prudenza e un’altra incertezza, come se si camminasse su un terreno sconosciuto. Tutto questo lo si può osservare dall’andamento dei mercati finanziari, dall’andamento delle Borse di tutto il mondo. Giusto un anno fa si assisteva al crollo dei valori delle Borse dopo “l’infarto” del fallimento di Lehman Brothers. E fino alla prima decade di marzo del 2009, la
corsa al ribasso sembrava inarrestabile. E’ stata necessaria una impressionante iniezione di liquidità e l’intervento diretto sui patrimoni delle banche per evitare il cosiddetto sprofondamento. Ma tutto quello che ha provocato la Grande Crisi, dai titoli “tossici” ai crediti problematici, non è affatto stato smaltito. “Ci vorranno anni per ripulire tutto”, dicono gli analisti più accorti.

Accade così che i mercati finanziari, che in genere anticipano l’andamento dell’economia reale, abbiano ripreso a correre dopo la prima decade di marzo e l’intervento dei governi, ma poi ogni tanto, dopo una buona risalita, vengono come colti dalle vertigini e correggano o ritraccino (come si dice in gergo) in modo abbastanza vistoso.

Il fatto è che sui mercati finanziari convivano oggi sia una ritrovata propensione al rischio, ma anche la corsa al bene-rifugio per eccellenza come l’oro, che è arrivato a 1100 dollari all’oncia. Il fatto è che proprio chi opera sui mercati sa che i bilanci delle banche sono tuttora non brillanti per l’accumularsi dei crediti problematici e l’impegno delle ricapitalizzazioni, perché, anche se congelati, i titoli “tossici” esistono sempre e infine perché le operazioni di finanza molto “sofisticata” non si possono più fare. Inevitabilmente, il problema del credito alle imprese non è affatto del tutto risolto.

In questo modo sembra di essere entrati in una autentica “età dell’incertezza”, dove le previsioni, sia quelle catastrofiche (che ancora esistono) che quelle ottimistiche, rischiano di essere smentite nel giro di poche settimane. Ma forse, questa nuova “età dell’incertezza”, è una sorta di autoregolamentazione degli stessi mercati finanziari, in attesa che siano stabilite nuove regole che valgono per tutto il mondo.

Non aspettiamoci quindi risalite improvvise o cadute rovinose. Ed è meglio forse questo “incedere” lento, pieno di riflessione, che il periodo dell”ubriacatura finanziaria, dove si scambiava il leverage con lo champagne d’annata.