Il Parlamento, attraverso l’istituto della fiducia al governo, ha approvato l’ennesima legge di riforma dei servizi pubblici locali. Ne abbiamo perso il conto e abbiamo già evidenziato nel passato come questa “produzione continua” di norme e provvedimenti abbia generato nel settore confusione, immobilismo, impossibilità pratica per le imprese di compiere scelte strategiche, difesa delle “rendite di posizione” storiche a ogni costo.
Il tutto in verità senza gestire un normale processo di applicazione delle norme approvate ed eventuale correzione del tiro in itinere: le modifiche via via apportate hanno stravolto l’impianto originario senza che ciò avvenisse a seguito di una verifica sul campo di quanto realizzato.
Il primo auspicio pertanto (e se possibile una sorta di “preghiera laica” al Parlamento) è che si sospenda per un ragionevole lasso di tempo l’attività di produzione normativa in proposito e si permetta/si verifichi l’applicazione di quanto contenuto nel Decreto.
Una ulteriore osservazione di metodo: che il Governo abbia dovuto ricorrere alla fiducia la dice lunga sulla impossibilità/incapacità di fare sintesi e costruire il consenso (almeno all’interno della maggioranza) su una proposta di “politica industriale” per questi settori. Questo è sicuramente un grossissimo limite che creerà non poche difficoltà nella fase di implementazione e applicazione delle norme.
Del resto la demagogica e strumentale protesta da più parti avanzata nei confronti della “presunta” privatizzazione dell’acqua testimonia di come nel nostro Paese abbiano ancora largo spazio posizioni ideologiche prive di fondamento che combinate con la difesa di rendite di posizioni monopolistiche impediscono una reale riforma del sistema. Ma di questo ha già ben argomentato Paola Garrone.
La focalizzazione del dibattito sull’acqua ha fatto passare in secondo piano il fatto che il Decreto riguarda anche altri servizi di pubblica utilità come il Trasporto Pubblico Locale. È su di esso che intendiamo concentrare la nostra attenzione per alcune sintetiche considerazioni, a partire comunque da un giudizio nel complesso positivo.
La prima, positiva, è che si riafferma il principio della proprietà pubblica delle reti. Reti e infrastrutture costituiscono infatti un assett fondamentale per il territorio, spesso sono state realizzate grazie agli investimenti della comunità locale interessata, ed è dal controllo di esse che deriva la garanzia della universalità e generalità del servizio (ciò vale ovviamente anche per l’acqua!!).
Ben vengano pertanto iniziative come quella avviata dal comune di Torino e dalla regione Piemonte per la creazione di una società interamente nel controllo pubblico proprietaria delle reti di trasporto (ferrovia, metropolitana, tram). Certo sarebbe interessante che la definizione “controllo pubblico” potesse essere declinata anche mediante modelli/strutture giuridiche diverse dalla società di capitali. L’ipotesi della Fondazione not for profit lanciata dalla Fondazione per la Sussidiarietà va in questa direzione.
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La seconda, anch’essa positiva, è che almeno questo Decreto per così dire “rimette ordine” nell’impianto normativo di regolazione del settore: la gara è la procedura principale attraverso la quale assegnare i servizi, viene consentita una subordinata mediante la cessione di almeno il 40% delle azioni di una società pubblica, l’affidamento in-house è chiaramente identificato come una soluzione marginale e con limiti di applicazione ben definiti. La ratio generale è quella di favorire un confronto competitivo nella convinzione che questo produca vantaggi per tutti gli attori in gioco ed è indubbio il quadro coerente che deriva dalla norma. E infine si fa chiarezza sul termine del periodo transitorio.
La terza considerazione è invece negativa e riguarda un aspetto che neppure questo Decreto affronta e quindi risolve. Molti addetti ai lavori contestano questo impianto (così come quelli passati) perché sostengono che il confronto competitivo, in astratto condivisibile perché teoricamente generatore di benefici, in realtà non risulta concretamente applicabile (almeno nel nostro paese quando viene fatto notare che in molti stati europei è da tempo una modalità praticata con successo).
Però nessuno di essi sviluppa il ragionamento coerentemente fino in fondo: il problema non è lo strumento della gara ma il fatto che quasi sempre il soggetto pubblico si trova a giocare ruoli in palese conflitto di interesse, e cioè è insieme regolatore, stazione appaltante e azionista della principale azienda chiamata a competere. È da questo intreccio che nascono i problemi di applicazione di una riforma annunciata dal lontano 1996 ma dall’origine ostacolata e avversata. L’auspicio è che il quadro normativo coerente del Decreto combinato con le esigenze della finanza pubblica a tutti note favoriscano finalmente scelte orientate a un uso efficiente ed efficace delle risorse disponibili.
L’ultima annotazione, anch’essa purtroppo negativa: c’è sempre qualcuno più uguale degli altri. È significativo che il Decreto escluda dal suo ambito di applicazione il servizio ferroviario regionale. Del resto questa scelta segue a stretto giro altre decisioni assunte da questo Parlamento (le leggi 99 e 102 approvate tra luglio e agosto) finalizzate a garantire il monopolio di FS.
Il tutto attraverso un metodo quantomeno discutibile, e cioè in assenza di qualsiasi dibattito (le Commissioni Trasporti di camera e Senato hanno avuto alcun ruolo?) e utilizzando provvedimenti normativi a tutt’altro finalizzati. Ma questo tema merita un capitolo a sé.