Il fare impresa del XXI secolo registra modificazioni profonde rispetto al passato, in particolare per quanto riguarda le relazioni con gli attori interni ed esterni ad essa: l’impresa è sempre più parte di una rete di rapporti che la responsabilizzano nei confronti della comunità a cui appartiene e la forza di questa rete dipende, come per le reti da pesca, dal fatto di avere robuste e stabili relazioni reciproche perché quanto viene prodotto, e metaforicamente pescato, dipende appunto dalla forza di questa rete.
Nell’impresa del XXI secolo diventa cioè centrale la qualità del comportamento in rapporto a un bene comune condiviso, che è sempre più il risultato di un sforzo intenzionale di realizzare un obiettivo personale che sia al tempo stesso armonizzato con quello delle altre imprese, dei lavoratori e delle famiglie. E la Grande Crisi in corso ha messo in chiara evidenza come la capacità di sviluppo di un’impresa dipenda non solo dalle sue qualità tecniche e imprenditoriali, ma anche dalla consapevolezza di far parte di un destino comune.
La trasparenza, qualità e fiducia dei rapporti economici è diventata centrale a tutti i livelli, così come l’opportunità, intenzionalmente ricercata, di individuare un equilibrio nuovo fra la competizione d’impresa e la necessità di individuare nuove forme intenzionali di collaborazione su gli obiettivi alti e condivisi della propria attività.
Il valore delle attività immateriali, in particolare la reputazione nei confronti dei lavoratori, dei consumatori, delle altre imprese e della società, è diventato centrale per consentire di attraversare un periodo di crisi che è in realtà una fase di profondo cambiamento strutturale, un terremoto economico che ha prodotto molti danni ma che offre l’opportunità – anzi la richiede come esigenza – di adeguarsi ai mutamenti strutturali in corso.
Il mondo sta cambiando rapidamente, ma in modo molto differente fra i grandi paesi emergenti – che hanno già ripreso il loro cammino – e i paesi avanzati, alla ricerca di una nuova geografia geoeconomica e politica.
Non vi è dubbio che il cambiamento più radicale riguarda il mutamento di posizione e ruoli, nel commercio internazionale e nella divisione del lavoro, dei grandi paesi come gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone e l’Europa. In questo quadro le imprese italiane, sia individualmente che attraverso un rafforzamento della rete dei loro rapporti e solidarietà, deve rapidamente ritagliarsi una posizione nuova, valorizzando la centrale e grande risorsa su cui si è finora fondato lo sviluppo e cioè la qualità del capitale umano, sia sul piano professionale sia – in pari misura – per quanto riguarda la consapevolezza del fatto che i tempi nuovi richiedono anche consapevolezze e comportamenti nuovi sul piano delle responsabilità.
Il bene comune del paese e delle comunità non può più essere lasciato solo all’esito – troppo spesso imprevedibile – di una “mano invisibile” che faccia coincidere l’interesse individuale con quello comune, ma richiede una intenzionalità collettiva oltre che una responsabilità individuale. Una qualità nuova del capitale umano – sia sul piano dell’intelligenza produttiva, che quello dei rapporti sociali e dei valori che sono pubblicamente condivisi – è l’input produttivo centrale per realizzare un mutamento altrettanto sostanziale della qualità dei prodotti e dei servizi, in cui tali intelligenze e valori possono trovare una concreta materializzazione.
Il porre la persona umana al centro dell’attività economica non è più un valore in sé ma anche, in particolare in Italia, la premessa indispensabile perché uomini migliori producano una migliore qualità del vivere, fatta di beni e servizi, quali strumenti di migliori relazioni umane.