La crisi dell’economia mondiale ha fatto scendere drammaticamente i fatturati e l’export ma il morale degli imprenditori del “made in Italy” non deve scendere sotto i tacchi. Infatti, l’industria italiana possiede le capacità per reagire.

Affermare ciò non significa sottovalutare le difficoltà a cui anche l’Italia dovrà far fronte a causa dei tempi lunghi della ripresa mondiale e del suo debole profilo. Tali difficoltà possono essere individuate soprattutto nel rischio di mortalità di un elevato numero di piccole e medie imprese, strette tra il calo degli ordini e il credit crunch, specialmente nell’indotto, nonché nell’aumento del numero di disoccupati (sia pure in misura inferiore agli altri Paesi), specialmente nell’ambito dei lavoratori cosiddetti “precari”.



Tuttavia, pur tenendo conto di questi elementi negativi, i tempi di recupero dei nostri settori più colpiti, come la produzione industriale e l’export, non andrebbero drammatizzati in misura eccessiva. Infatti, è indubbio che nel 2008-2009 i cali dei livelli di attività siano stati molto forti ma essi andrebbero rapportati ai tassi di crescita assolutamente eccezionali, e probabilmente irripetibili (almeno nell’immediato), che hanno caratterizzato il quinquennio precedente ed in modo particolare il biennio 2006-2007.



Un’attenta e razionale lettura degli eventi ci porta ad affermare che proprio nel 2006-2007, in concomitanza con i massimi livelli della “bolla” immobiliare e finanziaria dei Paesi anglosassoni e della Spagna e della “bolla” dei prezzi energetici di cui hanno beneficiato la Russia e i Paesi Arabi, anche l’Italia ha vissuto una sua particolare “bolla”: quella delle esportazioni, in ciò somigliando molto alla Germania. Infatti, nel biennio 2006-2007 il nostro export è cresciuto in euro del 19,6%, mentre quello tedesco del 23,5%, contro una media degli altri 5 Paesi del G7 solo dell’8,6%. Si è trattato, beninteso, di una “bolla” senza colpe perché basata sulla competitività e non sull’indebitamento, sull’internazionalizzazione delle attività e dei prodotti anziché su quella dei famigerati sub-prime e dei derivati. Le nostre imprese, oggi sotto shock per il crollo del commercio mondiale avvenuto tra la fine del 2008 e il primo semestre del 2009, in precedenza stavano conquistando la Russia, invadendo la Spagna, difendendo bene le loro quote di mercato negli Stati Uniti, penetrando in India e in Brasile. Ma, se per ipotesi le esportazioni italiane nel biennio 2006-2007 si fossero “accontentate” di aumentare come quelle del G5, esse sarebbero arrivate a toccare nel 2007 il livello di soli 326 miliardi di euro anziché di 359 miliardi come è avvenuto realmente, cioè avremmo esportato 33 miliardi in meno. Ritornare in tempi rapidi ai livelli di export del 2007, quindi, non sarà facile perché tali livelli erano anch’essi “drogati” dalla febbre dei consumi e degli investimenti dei nostri Paesi clienti.



Questa consapevolezza, tuttavia, non ci deve far perdere di vista i punti di forza strutturali del made in Italy, che molti anche nel recente passato davano in declino irreversibile, mentre le nostre imprese si stavano invece rafforzando sul piano della qualità dei prodotti, dell’innovazione e dell’internazionalizzazione.

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Prima della crisi stavamo recuperando terreno nei settori più esposti alla concorrenza asimmetrica asiatica come la moda e l’arredo-casa, mentre la nostra meccanica-mezzi di trasporto si stava rendendo protagonista di un autentico boom, come prova il fatto che nel 2006-2007 il suo export è cresciuto addirittura di più di quello dei temibili concorrenti tedeschi (+22% contro 20%).

Spesso in passato è stato sostenuto che la nostra industria e il nostro export sarebbero troppo sbilanciati su specializzazioni a basso valore aggiunto. Oggi alcuni pensano che, dopo questa grave crisi, a maggiore ragione il “made in Italy” non avrà futuro. Si tratta di affermazioni senza fondamento se si considerano gli elevati livelli tecnologici della meccanica non elettronica italiana e i livelli qualitativi delle nostre produzioni di beni per la persona e la casa, che ci permettono di competere con i settori hi-tech delle grandi potenze industriali mondiali per ciò che riguarda i valori esportati. Basti pensare che, in base ai dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) e dell’Onu, nel 2008 l’Italia ha esportato prodotti di meccanica non elettronica e mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli per ben 178 miliardi di dollari, una cifra che, per un confronto, è superiore di 16 miliardi di dollari all’export cinese di prodotti per le telecomunicazioni (telefonia, tv, radio, suono, ecc. pari a 162 miliardi). Nello stesso anno, nonostante le crescenti sfide competitive che i Paesi emergenti ci hanno lanciato nei settori manifatturieri cosiddetti “tradizionali”, l’export italiano di tessile-abbigliamento è stato di 41 miliardi di dollari, cioè superiore di 7 miliardi all’export giapponese di prodotti per le telecomunicazioni (34 miliardi), mentre l’export italiano degli altri principali beni per la persona e la casa diversi da quelli del tessile-abbigliamento (cioè cuoio-pelletteria-calzature, gioielli, occhiali, mobili, pietre ornamentali e piastrelle ceramiche) è stato nel 2008 di 51 miliardi di dollari, cifra superiore di 11 miliardi all’export di prodotti per le telecomunicazioni degli Stati Uniti (pari a 40 miliardi). Sono dati assolutamente straordinari, che, comparativamente ad un comparto dell’hi-tech in grande espansione come quello dei prodotti per le telecomunicazioni e ai suoi tre principali Paesi esportatori, dimostrano inequivocabilmente la grande competitività dei settori di specializzazione del manifatturiero italiano (che, non va dimenticato, ha altri punti di forza nell’alimentare e nei vini).

Gli ultimi dati Istat ci dicono che nel periodo ottobre 2008-settembre 2009, nonostante la gravissima crisi mondiale, il surplus commerciale manifatturiero con l’estero dell’Italia è stato attivo per 52,3 miliardi di euro. Si tratta di un dato inferiore solo di 1 miliardo di euro a quello del 2007, che è stato il secondo nostro miglior anno dopo il 2008 quanto a successi sui mercati internazionali.