In un recente convegno organizzato da Fondazione Sussidiarietà e Fondazione Oliver Twist, una scuola professionale nata dall’esperienza dell’Opera sociale Cometa, Lester Salamon della Johns Hopkins University di Baltimora, uno dei più grandi esperti mondiali di non profit, chiamato a valutare il “caso Cometa”, ha affermato: “Ci sono due impulsi apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro: da una parte l’impegno radicato verso la libertà e l’iniziativa individuale e dall’altra parte il concetto, ugualmente fondamentale, che tutti noi viviamo in una comunità e abbiamo la responsabilità di andare oltre noi stessi ed adoperarci per il bene dei nostri simili. Quello che c’è di speciale e unico nei soggetti che fanno parte del Terzo Settore, è che combinano questi due impulsi, producendo così una serie di istituzioni sociali che si dedicano alla mobilitazione dell’iniziativa privata per il bene comune”.
Ciò è confermato ancora nella Caritas in veritate: “Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone: il bene comune. È il bene di quel “noi-tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale” (n. 7).
Secondo la visione del mondo neo-liberale ci sono solo due modelli di base del welfare: uno dove domina l’intervento statale e dove viene compresso il ruolo delle realtà non profit, della società civile, di movimenti e associazioni; l’altro modello, alternativo, dove è ridotto al minimo l’intervento dello Stato a favore delle suddette realtà.
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Le ricerche empiriche di Salamon sul Terzo Settore negli Stati Uniti hanno invece mostrato che la crescita del welfare state durante il New Deal degli anni ’30 e la Great Society degli anni ’60, non ha affatto diminuito il Terzo Settore, anzi, negli anni ’60 si è addirittura assistito ad una crescita delle realtà non profit come non mai nella storia statunitense. E la stessa cosa è successa nei welfare state europei (Germania, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda), dove si sono create delle partnership tra il pubblico e il privato sociale.
Conclude Salamon: “Possiamo quindi miscelare governo, mondo delle aziende profit e non profit in mille modi e in nuovi modi efficaci”.
Ciò dovrebbe portare al superamento di quella contrapposizione tra pubblico e privato mosso da criteri ideali che purtroppo ancora domina nel mondo politico di destra e di sinistra, in molti commentatori giornalisti e in molti studiosi. Questa contrapposizione infatti, come si è visto, non descrive la realtà dei fatti degli ultimi decenni.
Perché invece, in Italia, chi afferma questo passa per utopista o fautore di sistemi clientelari? Perché in certa pubblicistica, in certa accademia e in certa politica deve dominare un mediocre e presuntuoso provincialismo che si nutre di ignoranza colpevole di ciò che c’è di meglio e di nuovo nel mondo? Viene in mente l’asino bigio di carducciana memoria…