Favorire l’aggregazione delle nostre piccole imprese è oggi cruciale per cercare di agganciare una ripresa che è ancora debole e che probabilmente impiegherà parecchio tempo a far sentire i suoi effetti (soprattutto in termini di crescita dell’occupazione).

In questo senso un contributo importante può venire dal Matching, giunto quest’anno alla sua quinta edizione, in corso di svolgimento presso Fieramilano a Rho e che vede il coinvolgimento di 2200 imprese in rappresentanza di più di quaranta Paesi di tutto il mondo.



Favorire le relazioni tra imprenditori, promuovere lo scambio non solo di beni e servizi ma soprattutto di idee e di punti di vista è essenziale se vogliamo far crescere la consapevolezza che condividere con altri un progetto imprenditoriale può essere tanto importante quanto dar vita da soli a una nuova attività di business.



È noto come i nostri imprenditori si caratterizzino per forti dosi di individualismo, abbiano una spiccata tendenza a voler far da soli e guardino sempre con sospetto a ogni ipotesi di delega del controllo o (peggio) della proprietà delle loro aziende.

Tenendo conto di questi vincoli strutturali, si tratta allora di costruire una cultura della condivisione nella quale nessuno senta di dover rinunciare alla sua libertà e indipendenza ma piuttosto ciascuno si senta chiamato a costruire liberamente un progetto più grande e più solido.

La nostra piccola imprenditorialità ha sempre dimostrato una capacità di concretezza straordinaria, che anche durante la crisi non sta venendo meno come dimostra l’incredibile surplus di 45 miliardi di euro realizzati dal nostro sistema manifatturiero nel periodo agosto 2008-luglio 2009 (lo ricordava recentemente Ugo Bertone su queste pagine).



È necessario però ora unire alla “concretezza”, che è tipica del breve periodo, anche la “lungimiranza”, ovvero la capacità di guardare lontano prefigurando gli scenari del medio e del lungo periodo. Non è un compito facile, ma oggi è la sopravvivenza stessa delle imprese a richiederlo. Molto spesso un’impresa solo facendo parte di una rete può sperare di raggiungere un obiettivo importante – come ricevere una grossa commessa o entrare in un mercato estero.

In termini generali, una rete può consentire alle singole imprese partecipanti di conseguire sia risparmi di costo – che possono essere ottenuti mediante l’attivazione di servizi in comune – sia di raggiungere maggiore forza e coesione nelle trattative con soggetti terzi.

Un esempio del primo tipo di vantaggio è data dalla possibilità di sviluppare progetti di ricerca in comune o costruire percorsi formativi per tutta la rete. Per quanto attiene poi ai vantaggi derivanti dalla coesione, si pensi solo alla forza che può garantire nel rapporto con una banca riuscire a presentarsi in modo unitario anziché in tante singole domande di credito. Sono tutte situazioni in cui far parte di una rete può voler dire oggi sopravvivere e magari domani, superata la crisi, ritornare alla crescita.

Ma come si può riuscire a far crescere la consapevolezza dell’importanza di fare rete e di cercare di aggregarsi almeno nella rete? Una delle chiavi è rappresentata dalla formazione, che diventa in questo caso addirittura cruciale. Anche sotto questo profilo il Matching con i suoi 15 seminari e 50 workshop si conferma un’iniziativa lungimirante per la sua capacità di favorire la condivisione di competenze specifiche che sono fondamentali sia per accrescere la capacità innovativa sia per aumentare l’internazionalizzazione delle nostre imprese (anche perché è bene ricordare che la nostra innovazione per la sua gran parte nasce dal basso, cioè dagli scambi di conoscenza tra persone legate da rapporti di fiducia, piuttosto che nei grandi laboratori di ricerca).

 

Nel nostro Paese è, per fortuna, viva e forte una concezione dell’impresa come un’opera della creatività umana con un elevato contenuto anche spirituale. Dobbiamo ringraziare le molte associazioni di imprese che nel corso degli anni hanno saputo non solo difendere (giustamente) gli interessi di parte ma anche favorire la crescita di una cultura dell’imprenditorialità responsabile e capace di guardare lontano.

 

Il pensiero va immediatamente in primis alla Compagnia delle Opere, che proprio domenica scorsa ha tenuta la sua annuale Assemblea generale e che da sempre opera efficacemente per il bene comune, ma anche a Confindustria, che sulle reti d’impresa ha appena organizzato un convegno a Bologna e un altro ne organizzerà a Roma all’inizio di dicembre.

 

Più in generale, come giustamente ricordava qualche giorno fa sul Corriere della Sera Alberto Quadrio Curzio, «senza le associazioni datoriali, le relazioni tra il mercato e lo Stato sarebbero in Italia meno efficienti e la coesione sarebbe minore». E sappiamo bene quanto sia importante oggi la coesione, non ultimo proprio per favorire i processi di aggregazione a rete.

 

Realizzando l’incredibile surplus di cui abbiamo riferito sopra, i nostri imprenditori hanno permesso alla bilancia commerciale italiana (sempre nel periodo agosto 2008-luglio 2009) di chiudere in un modesto passivo di soli 8 miliardi di euro a fronte di deficit ben più consistenti di Regno Unito e Francia.

 

Serve ora un ulteriore scatto e un salto di qualità per raggiungere dimensioni più adeguate a sostenere la concorrenza internazionale. Nella certezza che da soli di strada se ne fa poca e nella convinzione che invece uniti si riuscirà ad andare lontano.