«Se c’é bisogno di fare deficit, si fa solo sulla cassa integrazione, sul sociale». Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti intervenendo in commissione Bilancio della Camera nel dibattito sulla Finanziaria, ricordando che la cassa integrazione «è l’unica causale che ha una cifra etica e morale condivisibile».



La bufera che arriva da Dubai rischia di gettare più di un granello di sabbia negli ingranaggi della Finanziaria per il 2010. La bancarotta di quell’enorme luna park all’aperto nel cuore degli Emirati Arabi, dove non più tardi di 18 mesi fa si progettava una seconda pista di neve artificiale sotto un tetto di vetro capace di neutralizzare i raggi del deserto, serve infatti a ricordarci che la grande crisi globale è tutt’altro che finita.



Certo, le banche italiane non sono in prima fila tra i creditori dell’emirato, ma la tensione che si è abbattuta sui mercati facendo schizzare di nuovo a livelli stratosferici le quotazioni dei Cds, i credit default swap che misurano il grado di rischio (e si riflettono sul costo del credito). Inoltre, svanisce il sogno di una ripresa capace di coinvolgere segmenti rilevanti del made in Italy, dall’industria delle costruzioni ai beni di lusso.

A prima vista le imprese coinvolte sono poche. Ma a Dubai, le piccole e medie multinazionali tascabili del Bel Paese erano di casa: sono state le trivelle della Trevi a scavare le fondamenta di tanti tra le centinaia di grattacieli spuntati sulle rive del Golfo; nelle hall dei grandi alberghi (tra cui la Armani house) spiccavano le vetrine delle griffes, grandi e piccole; a Salvatore Ferragamo, nell’ottobre del 2008, era stato affidato l’incarico di arredare “la casa più lussuosa del pianeta” che, come tutti gli hotel di lusso, avrebbe dovuto avere le finiture, a partire dai rubinetti per finire con gli yacht parcheggiati davanti all’ingresso rigorosamente made in Italy.



Tutto questo, ahimè, è svanito. Per ora o, forse, per sempre. Che conseguenze potrà avere la tempesta di sabbia sulle scelte della Finanziaria? Primo, serve a ricordarci che la traversata nel deserto è ancora lunga. Guai, insomma, ad abbassare la guardia o ad accontentarci della promozione delle agenzie di rating per il debito della Repubblica italiana perché, una volta tanto, il Bel Paese ha fatto meno peggio degli altri.

Ma, seconda considerazione, non sarà sufficiente stringere i tempi e aspettare che “passi ‘a nuttata”: l’economia reale italiana, da sempre export oriented, rischia di pagare anche per il 2010 un prezzo più alto di altre, con una ricaduta negativa sia sulla crescita del Pil, che nella migliore delle ipotesi, sarà di un punto inferiore a Francia e Germania, sia sui consumi e sulle entrate fiscali.

Terzo, la rete del welfare all’italiana, ovvero le famiglie formica che detengono una larga fetta di risparmio e non hanno debiti, deve fare i conti con il rischio disoccupazione, che minaccia di mordere più che mai nel 2010.

È questa la cornice in cui s’innesca il dibattito sulla Finanziaria. Da una parte, tesi Tremonti, è importante sparare con parsimonia le (poche) pallottole a disposizione, frutto di un’iniezione una tantum, cioè lo scudo fiscale. E così, dopo aver tamponato alcune falle macroscopiche (vedi sicurezza), il governo dovrà puntare alla tutela delle fasce sociali deboli potenziando gli ammortizzatori sociali e garantendo impatto sulla salute, a tutela di uno dei migliori sistemi sanitari del mondo.

 

L’Italia, del resto, è in condizioni migliori di quanto non sia percepito da un’opinione pubblica avvelenata dalla rissa politica. La speranza è che la ripresa prenda slancio nel 2011, in tempo per programmare una politica di sgravi fiscali prima delle prossime elezioni politiche. Dall’altra, tesi Baldassarri-Brunetta (è curioso che il dibattito più aspro avvenga all’interno della maggioranza…), è necessario riqualificare la spesa in corsa, tagliando costi improduttivi a vantaggio degli sgravi fiscali nei confronti delle famiglie e delle imprese.

 

L’ottimismo di Tremonti è un’illusione, dicono i più critici: dietro l’apparente stabilità, resa possibile dalla tenuta dei bilanci familiari, ben più solidi, c’è il malcontento che cova sotto le ceneri, soprattutto nelle aree forti del Paese, quelle meno avvezze ad affrontare le emergenze.

 

Un boomerang che potrebbe ritorcersi contro Silvio Berlusconi, che ha vinto le elezioni proprio sull’onda della protesta contro la pressione fiscale. Il dibattito sulla Finanziaria, insomma, più che riflettere diverse impostazioni di politica economica (con buona pace dei critici di Tremonti, il passaggio è davvero stretto…) è lo specchio del dibattito politico, soprattutto quello che attraversa la maggioranza alla vigilia dello scontro sulla giustizia, tempesta più violenta di quella in arrivo da Dubai.