Forse Cesare Geronzi non è più il manovratore incontrastato della finanza italiana, quello che assegna i posti nel salotto buono e che nessuno si azzarda a contrastare. È solo un’impressione e nessuno pensa che il presidente di Mediobanca non sia saldamente in sella. Però qualcosa è successo come dimostrano alcuni episodi di pochi giorni fa.



Il primo risale all’assemblea di piazzetta Cuccia del 28 ottobre scorso. In quella sede, rispondendo alla domanda di un’azionista, il direttore generale, Renato Pagliaro, ha dichiarato di giudicare un errore per Mediobanca essere il primo socio di una casa editrice, vale a dire la Rcs MediaGroup (proprietaria fra l’altro del Corriere della Sera). L’affermazione ha stupito l’uditorio, perché tutti sanno che Geronzi la pensa in maniera opposta, che tiene moltissimo a dire una parola decisiva sul primo quotidiano italiano quando si tratta di sceglierne il direttore.

E infatti puntuale è arrivata poche ore dopo, attraverso le agenzie stampa, la replica del presidente che smentiva il suo direttore generale. Tutto a posto? Sì. Però la notizia resta: il dg si è permesso di fare pubblicamente un’affermazione che – sapeva benissimo – non sarebbe stata gradita.

Il secondo episodio è ancora più recente. Il consiglio di amministrazione di Telecom Italia di giovedì scorso ha segnato un punto a favore di Franco Bernabé. L’amministratore delegato, nominato da appena due anni, non è gradito a tutti gli azionisti. Alcuni di loro, e in prima fila proprio il presidente di Mediobanca, vedrebbero volentieri un passaggio di testimone e avrebbero già pronto il ricambio. Gira anche una lista di nomi: Stefano Parisi (Fastweb), Luigi Gubitosi (Wind), Massimo Sarmi (Poste).

L’appuntamento di giovedì scorso era importante perché all’ordine del giorno c’erano due punti di grande rilievo. Il primo la vendita della controllata tedesca Hansenet agli spagnoli di Telefonica. Questa dismissione, voluta dal manager, era osteggiata da vari azionisti perché – a loro giudizio – il prezzo di vendita è troppo basso. In effetti i 900 milioni che Telecom porterà a casa comportano una notevole minusvalenza rispetto al valore di carico di 1,4 miliardi.

Però – è la replica di Bernabé – oggi è impossibile trovare qualcuno disposto a pagare quella somma perché i valori sui mercati, e soprattutto nel settore delle telecomunicazioni, sono drasticamente cambiati. Telecom comperò Hansenet negli anni d’oro delle tlc, quando i multipli erano diversi da quelli attuali. Adesso è meglio accontentarsi dei 900 milioni offerti da Telefonica. Serviranno a ridurre un po’ l’indebitamento e a rinviare la costosa emissione di bond già programmata. Con quei fondi freschi Telecom potrà fare degli investimenti sulle sue attività italiane, le sole ormai rimaste assieme a quelle brasiliane.

Alcuni pensavano che questo tema avrebbe potuto rappresentare il casus belli per mettere in minoranza Bernabé e smentirne la strategia. Invece la sua linea è passata tranquillamente, la battaglia non c’è stata. Così come non c’è stata sul secondo punto all’ordine del giorno, forse ancora più delicato, perché riguardava la ridefinizione del vertice.

 

In particolare è uscito Stefano Pileri, capo della rete, e il suo posto è stato preso da Oscar Cicchetti. Pileri, da 25 anni nel gruppo telefonico, era notoriamente fra i più convinti sostenitori della necessità di scorporare la rete di Telecom, posizione appoggiata da molte forze politiche e da una consistente parte degli azionisti, fra i quali proprio Mediobanca. Soluzione che invece Bernabé da sempre esclude.

 

Nell’intervista rilasciata al Sole24Ore il giorno dopo il consiglio, a una domanda sull’ipotesi dello scorporo della rete, ha risposto con un secco: “Non esiste”. L’uscita di Pileri dimostra che anche su questo punto l’ha spuntata. Non bisogna però pensare che gli avversari abbiano capitolato. È solo un cessate il fuoco, in attesa di riaprilo da posizioni più favorevoli e consolidate.