La ripresa di interesse per l’opzione nucleare ha fatto muovere negli ultimi mesi a governo e aziende i primi importanti passi legislativi e strategici. Ne sta conseguendo una discussione, largamente attesa, che pare riaccendersi saltuariamente sui media su vari temi: i costi del nucleare, la sicurezza e l’attesa della IV generazione, i rifiuti e il deposito delle scorie. Negli ultimi tempi, la (presunta) lista dei siti nucleari, smentita dai diretti interessati.



Sarebbe opportuno andare oltre le schermaglie politiche, soprattutto su quest’ultimo tema, forse il più critico di tutti perché coinvolge direttamente la popolazione e il consenso del territorio, evitando il facile scandalismo e la tentazione di istigare reazioni emotive. Dopo la non proprio esaltante esperienza italica post-Chernobyl (valutazione ormai largamente condivisa anche tra alcuni ambientalisti), non pare proprio il caso di ripetere l’errore. Occorrerebbe invece un chiaro impegno per una informazione completa, rigorosa, scientificamente fondata e non emotiva.



Ma siamo già in campagna elettorale per le regionali, e per alcuni è difficile resistere alla tentazione di usare un tema di facile impatto mediatico ed emozionale per “segnare il campo” e differenziarsi in modo ideologico. Anche le mosse di alcuni consigli regionali che hanno rapidamente votato dichiarazioni o leggi contro un eventuale “nucleare locale” o hanno avviato il ricorso alla Corte costituzionale contro la legge “Scajola” 99/2009, paiono piuttosto premature e preventive: la stessa legge nazionale prevede infatti un processo di condivisione di scelte e strategie tra i ministeri nazionali ed i governi locali. Facendo salvo che, trattandosi di scelta strutturale di interesse nazionale e considerata la complessità del sistema da attivare, un punto di decisione e responsabilità finale dovrà pur essere trovato, se non si giungerà ad un punto di accordo tra istituzioni (si veda il problema dei rifiuti in Campania).



La paura di una “azione militare” prevaricante le scelte regionali, in realtà la possibilità di una decisione ultima dirimente, rimane come estrema ratio di un processo di sostanziale condivisione nazionale-locale, azione estrema che dubito verrà realmente utilizzata per ragionevoli motivi di opportunità politica. Credo nessuno si sogni di riavviare il nucleare in Italia senza una adeguata condivisione e partecipazione del territorio alla decisione ed alla sua implementazione. Non sarebbe nell’interesse degli elettroproduttori, in primis. In realtà il nucleare, come già citato più volte sulle pagine de ilsussidiario.net, è l’impegno di una intera nazione, complesso e di lungo termine, quindi richiede una solida condivisione bipartisan.

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Fatte queste doverose considerazioni di carattere politico in senso lato, alcuni brevi cenni nel merito di alcuni problemi sottesi all’identificazione dei siti idonei per le centrali nucleari. Limitiamoci a tre semplici considerazioni su alcuni temi indicati da più parti come critici: il pericolo sismico, la disponibilità idrica per il raffreddamento, la densità abitativa nell’area.

 

“L’Italia è troppo sismica, le centrali non sarebbero sicure”: il Giappone ha oltre 50 reattori nucleari installati su un territorio in diverse zone ben più sismico di quello italiano. Eppure le centrali del Sol Levante sino ad oggi hanno dimostrato di sopravvivere molto bene ai numerosi sismi che le hanno interessate. Si consideri, quale caso limite, l’evento del 16 luglio 2007 che ha interessato il più grande sito nucleare del mondo (7 reattori per quasi 8000 MWe) nelle prefetture di Niigata e Nagano: nonostante un sisma di intensità molto superiore a quella di riferimento per la progettazione dei reattori, i reattori si sono arrestati in sicurezza, senza gravi danni. Dopo 2 anni di approfondite verifiche ed analisi, i reattori hanno ripreso il funzionamento.

 

“L’Italia ha pochi fiumi di grande portata, adeguata a raffreddare le centrali”: fatto salvo che la soluzione più “facile” è insediare le centrali sul mare, occorre ricordare che i tre reattori di Palo Verde (Usa) sono collocati nei pressi di un deserto in Arizona, quindi senza mare né fiume. Esistono soluzioni tecnologiche che consentono un consumo molto ridotto di acqua, anche in condizioni ambientali impegnative come quelle di una zona arida.

 

“L’Italia è densamente abitata, non c’è sufficiente spazio libero per collocare le centrali”: si consideri di nuovo l’esempio giapponese, territorio più abitato rispetto all’Italia, o anche il caso dei nostri vicini svizzeri, dove le centrali non sono molto distanti da paesi e città. Inoltre, i nuovi reattori di III generazione hanno un livello di sicurezza che consentirebbe di ridurre l’area di rispetto e di pianificazione dell’emergenza attorno all’impianto, dai 10 km delle normative attuali a pochi chilometri.

 

L’auspicio, in sintesi, è che si inizi un confronto serio e serrato tra le diverse posizioni, cercando di entrare nel merito dei temi, con il principale obiettivo di consentire ai nostri concittadini il formarsi di una personale convinzione, quale che sia, ma ragionevole, informata e non emotiva. Ce la faremo?

 

 

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