La campagna tende di AVSI dice nel titolo che “la persona fa la differenza”. In che senso? Nel senso che lo sviluppo c’è quando “accade” qualcosa che mette in moto le persone, così da generare una prospettiva di vita, una dinamica di cambiamento.
La campagna tende 2009 sostiene, come ogni anno, progetti specifici. Quest’anno questi riguardano la cooperativa agricola “The Rice Bank” in Birmania, la scuola secondaria di Kireka, a Kampala (Uganda), il Centro per mamme e bambini a Oaxaca (Messico), il sostegno a distanza per i bambini delle scuole francescane in Terrasanta.



Il filo rosso che unisce questi progetti e quelli sostenuti negli anni scorsi, il filo rosso dei progetti AVSI, sta nell’obiettivo precedentemente indicato: attraverso la risposta a un bisogno (l’oggetto del progetto), incontrare persone, accompagnandole in un processo educativo, in un dialogo che fa passare da un’iniziale diffidenza alla fiducia, che fa prendere coscienza delle proprie possibilità, che mette “in movimento”.



Questo significa riconoscere che in ogni progetto, in ogni attività di cooperazione, c’è un’azione che viene prima: lo “stare con”, il generarsi di un soggetto.
Ogni progetto ha come contenuto-base, potremmo dire, un esserci, una presenza. Vorrei sottolineare due elementi interessanti di questa impostazione metodologica.

Il primo è che in ogni progetto c’è “un lavoro dentro il lavoro”: si risponde al bisogno, si costruisce la scuola, o la mensa, ma simultaneamente ci si educa, si costruisce un soggetto, la gente diviene protagonista del proprio cammino. È qualcosa di simile a quello che notava Mounier: che lavorare è fare uomini mentre si fanno cose. Continua nella pagina seguente…



I fenomeni di sviluppo che in questi anni sia AVSI sia altre esperienze ci hanno posto sotto gli occhi hanno il volto di persone cambiate. In Ecuador, in Perù, in Brasile, in Uganda, in Paraguay, ovunque, c’è sempre un’esperienza come quella di Elismar, giovane favelado di Salvador (Bahia) che di sé dice:

«È cambiato tutto! Tutto! Tutto, perché quando tu stai in un vincolo come questo del passato, tu non hai un orizzonte davanti a te. Il massimo che desideri è diventare un poliziotto per vendicarti di quello che hai sofferto, picchiare e aggredire. E quindi, a partire da opportunità come questa, l’opportunità di apprendere qualcosa di nuovo, si apre per te il mondo […] perché quando fai questo salto, esci da una palafitta, da quella situazione e ne incontri un’altra, tu cominci a credere in te, tu cominci a dire "guarda! io posso!"».

È un valore aggiunto decisivo, quello descritto, che dobbiamo imparare a guardare, perché è il primo passo dello sviluppo. Se impariamo a guardarlo noi, se ne facciamo esperienza fino in fondo, sapremo anche comunicarne l’importanza ad altri, donor, istituzioni e fondazioni. Quando lo sviluppo ha un volto, guardando lo si vede.

Il secondo elemento è che questo fa guadagnare efficacia anche nei risultati diretti dei progetti. La letteratura è piena di esempi di risultati inefficienti, a livello macro (gli aiuti che non si traducono in investimenti e in crescita: di questo si è già parlato su questo quotidiano), ma anche a livello micro. In Pakistan la costruzione di scuole non è servita ad aumentare il tasso di scolarizzazione delle ragazze. La cultura tradizionale non ritiene importante che esse vadano a scuola e nessuno “incontra” le famiglie e dialoga con esse per aiutarle a comprendere che invece lo è. Per questo quel metodo, che innanzitutto pone una presenza, è parte importante dell’efficacia dell’attività che si vien facendo. Continua nella pagina seguente…

Sono molti i casi di fallimento nei grandi progetti di slum upgrading (costruzione e distribuzione di case per eliminare una favela): le case vengono rivendute e la favela si riforma, perché la casa è un “asset” vendibile – e in tempi di magra effettivamente venduto – ma non è parte di un cambiamento nella coscienza di sé, non è segno di un cammino possibile, non è parte di un incontro fatto che ha “cambiato” il rapporto con il reale.

Come ha detto Cleuza Ramos in un incontro al Meeting di Rimini di quest’anno, non basta sradicare la favela dal territorio, perché non si riformi occorre sradicarla dal cuore della gente. Lo scopo delle tende è aiutare ciascuno di noi, attraverso l’aiuto dato ad altri, a capire che sta accadendo quello che abbiamo detto.