Dall’incontro tra Sergio Marchionne e Claudio Scajola è riemersa l’idea di prorogare gli incentivi all’automobile, sotto forma di sostegni a vetture ecologiche. L’obiettivo è spingere il rinnovo di un parco macchine italiano ancora troppo vecchio, orientare domanda e offerta verso beni meno inquinanti, sostenere i consumi e la produzione nazionale.



Quindi, sovvenzionare la Fiat in modo da rendere meno dolorosa l’agonia di Termini Imerese. Ma ancora una volta le buone intenzioni rischiano di lastricare la via per l’inferno. Vediamo perché.

1 – Termini Imerese. L’impianto nacque per pressioni di ministri e politici influenti su un Valletta scettico e restio. Venne inaugurato nel 1970 e poté usufruire di tutti i sostegni pubblici previsti, a cominciare dagli incentivi per il Mezzogiorno. Fin dall’inizio aveva parecchi punti deboli: lontano, isolato, fuori da ogni “polo” industriale, monoproduttivo, cioè ha sempre assemblato un solo tipo di vettura. Adesso tocca alla Lancia Ypsilon, prodotto maturo che va ripensato e verrà spostato in Polonia. Marchionne spiega che produrre in Sicilia costa mille euro in più ogni vettura. Allora, è giusto caricare questa inefficienza sui consumatori e, ancor peggio, sui contribuenti?



2 – Il ministro Scajola si è impegnato affinché l’impianto resti aperto e produca altro. Che cosa, non si sa. Auto elettriche? Certo non Fiat che le sperimenterà a Detroit. Soprattutto, non è chiaro con i soldi di chi: dei contribuenti, della regione Sicilia, delle banche del sud, quella futura e quelle esistenti (come il Banco di Sicilia). O magari si seguirà il modello Electrolux, un esempio positivo che potrebbe diventare una strategia virtuosa per la riconversione industriale. La multinazionale svedese ha deciso di spostare la produzione di elettrodomestici dallo stabilimento di Scandicci in altri impianti. L’azienda è stata ceduta a Energia Futura, controllata dal fondo italo-americano Mercatech, e ha già cominciato a produrre i primi pannelli solari ai quali si aggiungeranno i rotori eolici. Di 450 dipendenti ne sono stati riassunti 370. Dunque, ristrutturazione non fa sempre rima con disoccupazione.



3 – L’analisi dei dati sulle immatricolazioni, usciti proprio ieri, subito dopo il vertice ministeriale, mostrano che gli incentivi hanno senza dubbio sostenuto le vendite, ma rischiano di creare un effetto boomerang. Non possono essere aiuti ad hoc, perché la Ue non lo permette, dunque valgono per tutti. Ciò vuol dire che servono di più a chi possiede modelli nuovi e che piacciono. La Fiat con Punto, Panda, nuova 500, li ha, ma adesso si fanno avanti i concorrenti: Ford con Fiesta, Peugeot che dopo un periodo di sonnolenza sembra risvegliarsi, i giapponesi, Hyundai con Kia. Tutti concorrenti agguerriti nei segmenti dove Fiat è più forte. E proprio le cifre di novembre mostrano quanto sia forte, perché il produttore nazionale ha perso qualche quota di mercato. Ciò genera anche una conseguenza negativa sul piano macroeconomico: per ogni euro che il governo conde ai consumatori, una quota rilevante viene trasferita all’estero, peggiorando la bilancia dei pagamenti. Se volessimo fare un calcolo costi benefici su scala globale, allora, forse, scopriremmo che il risultato per l’Italia nel suo complesso è negativo. A ciò va aggiunto che l’auto, per quanto importante, non è certo un bene di consumo prioritario.

4 – Gli incentivi pubblici all’industria, possono essere inevitabili quando si tratta di far fronte a un rovescio improvviso della congiuntura. Ma hanno soprattutto una funzione di ammortizzatore sociale, sia pur indiretto. Molto più discutibile se e in che misura possono davvero servire a orientare in modo efficiente la produzione. Quando diventano strutturali e permanenti, per lo più si trasformano in una ciste che indebolisce il tessuto economico. Prendiamo i pannelli solari. I sostegni hanno stimolato la crescita di una industria e spinto a orientare i consumi. Ma produrre elettricità con il sole costa più di altre fonti. Può darsi che sia giustificato da interessi superiori, tuttavia l’effetto è economicamente negativo. Non solo. Fino a che punto siamo sicuri che il nuovo settore industriale riuscirà a camminare con le proprie gambe?

 

5 – Davanti alla famiglia Agnelli, riunita per l’assemblea annuale della cassaforte (l’accomandita per azioni Giovanni Agnelli & C), Marchionne ha detto: “Non può essere la Fiat a fare la politica industriale del paese”. Ha ragione. Ammesso che la politica industriale funzioni (e abbiamo spiegato tutti i nostri dubbi) avrebbe dovuto concludere che non può essere nemmeno il governo a fare i piani produttivi della Fiat e tanto meno una politica per la Fiat. Si parla di un progetto condiviso che verrà discusso con sindacati e governo. Con tutto il rispetto per la concordia sociale e il metodo del consenso, è sempre meglio quando ruoli e responsabilità restano chiari e distinti. A cominciare dal ruolo della proprietà. Il progetto Torino-Detroit, cioè creare un gruppo davvero mondiale, è importante, ha il plauso di tutti e ci riempie d’orgoglio. Ma non può essere realizzato con i dollari di zio Sam e gli euro dei contribuenti italiani. Prima di tutto, è l’azionista a dover staccare gli assegni.