Nell’indifferenza generale (le poche notizie riportate dalla stampa hanno riguardato solo gli scontri con alcuni manifestanti avvenuti alla vigilia) tra il 30 novembre e il 2 dicembre si è svolta la conferenza ministeriale della World Trade Organization (Wto).
Il basso profilo dell’evento è frutto dei ripetuti fallimenti nel raggiungere un accordo soddisfacente per concludere l’attuale round di negoziazione commerciale. Lanciato con molta enfasi nel 2001 a Doha, il cosiddetto Development Round aveva l’intento di mettere la questione dello sviluppo al centro degli accordi commerciali.
L’agenda di Doha aveva obiettivi molto ambiziosi in cui i paesi in via di sviluppo nutrivano molte aspettative. Particolarmente pressante era la richiesta di avere un accesso privilegiato (senza dazi) ai mercati dei paesi avanzati, e soprattutto la richiesta ai paesi industrializzati (Usa ed Europa in primis) di eliminare i sussidi erogati ai propri produttori agricoli che danneggiavano molti Paesi in via di sviluppo (Pvs) esportatori di prodotti agricoli.
Purtroppo sin da subito si sono palesate notevoli difficoltà a raggiungere gli obiettivi fissati. In Europa l’allargamento ad Est ha portato nuovi membri in cui l’agricoltura ha un peso rilevante e dunque fortemente interessati a mantenere lo status quo della politica agricola comune. Negli Usa la lotta al terrorismo e le questioni economiche interne hanno sensibilmente distolto l’attenzione dell’amministrazione ai temi del commercio. Infine l’accresciuta importanza di alcuni paesi emergenti sulla scena internazionale (Brasile, India e Cina su tutti) ha ridotto il potere negoziale dei paesi industrializzati e al contempo reso più intransigenti le posizioni dei Pvs.
L’esito è stato un forte rallentamento nelle trattative che ha sensibilmente dilatato i tempi. Nel frattempo di fronte al rallentamento degli accordi commerciali a livello multilaterale i diversi paesi hanno intrapreso vie alternative per liberalizzare il commercio, in particolare sottoscrivendo numerosi accordi bilaterali o regionali di scambio (dei 210 accordi regionali di scambio esistenti – la Comunità Europea è uno di questi – 140 sono stati creati dall’inizio del Doha Round).
In un quadro così negativo la conferenza di Ginevra poteva concludersi con l’ennesimo nulla di fatto, invece quella appena trascorsa potrebbe essere ricordata come la conferenza della svolta. In realtà nessun accordo è stato concluso, ma è stata trovata una forte convergenza su alcuni temi.
In primo luogo c’è stata una forte riaffermazione della centralità delle negoziazioni multilaterali (quelle che avvengono nel Wto) rispetto a quelle bilaterali o regionali. I paesi membri si sono resi conto che la proliferazione degli accordi commerciali regionali mina l’essenza stessa del sistema multilaterale su cui si basa il Wto e che dunque è importante chiudere la fase attuale degli accordi per riaffermare la centralità del Wto negli accordi commerciali.
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Di questo si sono convinti soprattutto i paesi in via di sviluppo che per primi hanno bloccato le negoziazioni di fronte alla riluttanza dei paesi avanzati a fare concessioni sull’agricoltura. I paesi più poveri hanno infatti capito che i loro interessi sono meglio tutelati all’interno di un sistema multilaterale piuttosto che in accordi regionali dove inevitabilmente il maggior potere contrattuale è nelle mani del più forte.
In secondo luogo è emersa la consapevolezza che su alcuni temi è stato raggiunto un accordo, magari non ottimale, ma che costituisce senza dubbio un passo in avanti rispetto allo status quo. Dopo 10 anni di trattative il realismo impone di finalizzare ciò su cui c’è un accordo lasciando a un round di negoziazione successivo le questioni aperte. In termini pratici i paesi si sono impegnati a non rinegoziare più i testi su cui è stato già trovato un accordo di massima.
Su queste basi si è registrato dunque l’impegno di chiudere il Doha round entro il 2010. Non è ovviamente scontato che all’impegno seguano azioni concrete che portino effettivamente alla chiusura delle negoziazioni entro il prossimo anno. In effetti già alla scorsa conferenza ministeriale (nel 2005 a Hong Kong) si era preso un impegno simile che è tuttavia rimasto solo sulla carta.
Ci sono ragioni per credere che questa volta l’esito possa essere diverso. In particolare la posizione dell’Europa e dei principali paesi emergenti è fortemente a favore della chiusura degli accordi. Rimane un unico ostacolo costituito dallo scarso impegno profuso dagli Usa in questo ambito.
Tuttavia le condizioni sono favorevoli: se Barack Obama riesce a far approvare la riforma sanitaria in questi giorni in discussione in parlamento e se al vertice di Copenhagen si riesce a trovare un accordo soddisfacente, il prossimo anno la questione del commercio sarebbe tra le priorità principali dell’amministrazione americana. Se così sarà, la chiusura del Doha Round non costituirà più un miraggio.