Sulla scia del comportamento degli Stati occidentali anche il nostro paese ha completato in questi giorni la messa a punto legislativa degli interventi rivolti a contrastare la crisi bancaria, attraverso due fondamentali provvedimenti: il Decreto legge 9-10-2008 n. 155 convertito nella Legge 4-12-2008 n.190 e il Decreto legge (cd. “anticrisi”) 29-11-2008 n. 185 convertito – con molte modifiche – nella L. 28-1-2009 n. 2.



Nei confronti delle banche lo Stato si dichiara disponibile a un supporto economico di eccezionali proporzioni e la sua preoccupata attenzione ha veramente il carattere della totale specialità. Infatti per venir loro incontro lo Stato non si perita di andare in modo palese, e potremmo dire marchiano, in deroga alle norme bancarie, alle norme civilistiche, ai criteri e alle norme della contabilità pubblica, alle stesse norme costituzionali (art. 81 Cost.) per la copertura delle leggi di spesa e alle norme in materia di concorrenza e di aiuti. Così che agli occhi della generalità le banche appaiono trattate come figlie predilette, “prodighe” certamente nei loro recenti comportamenti (come non pensare al modo dissennato col quale hanno concesso e cartolarizzato i mutui immobiliari), e, pur tuttavia, considerate in modo particolare, come il perno su cui si regge lo stesso sistema economico generale, perno di cui non si può tollerare il venir meno pena il venir meno dello stesso sistema economico.



Ma gli interventi, così come configurati, suppongono anche che quel perno, quella infrastruttura del mondo economico-produttivo neppure deve subire consistenti variazioni tanto che, a fronte degli aiuti, si chiede una limitata contropartita e cioè: un’adeguatezza dei livelli di credito e di liquidità… una politica prudente dei dividendi… e l’assunzione di criteri etici soprattutto per quanto riguarda la remunerazione dei vertici aziendali (art. 12 c. 4 del D.L. 185 del 2008).

Da subito cioè dal momento iniziale (9-10-2008) della assunzione dei citati provvedimenti, anzi, dal momento dell’annuncio della loro assunzione, è stato attinto e assicurato lo scopo principale dei provvedimenti stessi, quello di tranquillizzare i risparmiatori. Sono occorsi poi mesi per tradurre in leggi i decreti e altro tempo è occorso e occorre ancora per dare forma compiuta ai nuovi strumenti finanziari e di garanzia. In questo tempo, una volta assicurato l’obiettivo, le banche potranno nel silenzio ovattato della trattativa col Governo sulle condizioni specifiche, utilizzare i nuovi strumenti, l’ampia “cassetta degli attrezzi” messa a disposizione dal governo, per riadeguare i loro assets patrimoniali.



 

Ma, di fronte ai decreti salva-banche, non possiamo evitare il riproporsi di un interrogativo fondamentale. Questo sistema bancario/finanziario, così come oggi concepito, è struttura necessaria e indeclinabile del sistema economico? Oppure va configurato un diverso rapporto fra banca/finanza ed economia reale che comporti e implichi anche un diverso assetto istituzionale e regolamentare del sistema bancario/finanziario? Se questa fosse oggi la giusta prospettazione del problema, salvare il sistema bancario/finanziario così com’è si tradurrebbe in un gravissimo errore di prospettiva.

Nel consueto messaggio del primo dell’anno il Papa ha posto in modo crudo ai potenti della terra, che appaiono, in questo terribile frangente della crisi economica, come dei “re nudi” che non ammettono di esserlo, un drammatico interrogativo sulla permanente validità del modello economico dominante: «Siamo pronti a leggere [la crisi economica] nella sua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante?» (Benedetto XVI, Omelia in occasione della 42a Giornata mondiale della Pace).

Ora, di fronte al salva-banche e ai pochi provvedimenti presi, dal punto di vista strutturale, dopo più di un anno e mezzo di bufera finanziaria, l’impressione è proprio quella di trovarsi di fronte a interventi dal “corto respiro”.

Occorre, a questo punto dire qualcosa di più sulla specialità, sulla anomalia e sulla scarsità di prospettive che gli interventi salva-banche paiono avere; per far vedere le incongruenze, per identificare i nodi irrisolti o le grandi direttrici di marcia, più che per disegnare soluzioni specifiche che sono fuori dalla portata di un contributo come quello presente.

Per ora, con i provvedimenti presi, si è assicurato un piccolo obiettivo, quello di una temporanea tranquillizzazione dei risparmiatori sulla tenuta patrimoniale delle banche. È un obiettivo iniziale e neppure questo conseguito pienamente sino a che non andranno a effetto i provvedimenti attuativi.

Il mercato finanziario da mesi è ingessato per il venir meno generalizzato della fiducia nelle banche, fiducia dei risparmiatori nei titoli e nei prodotti finanziari-bancari e fiducia reciproca fra banche che non si prestano liquidità; e tale caduta di fiducia non manca certo di causa, visto che proprio alla gestione delle banche e delle loro società collegate (conglomerati finanziari) è da imputarsi il prodursi e l’esplodere in tutta la sua gravità della crisi stessa.

Come si è arrivati a tanto? In sintesi. Prima l’assunzione generalizzata di modelli bancari (merchant- bank, investment-bank) sempre più orientati allo sviluppo della attività finanziaria non più tenuta distinta dall’attività propriamente bancaria, poi la corsa alla globalizzazione del mercato finanziario senza la capacità di dare a tale mercato regole prudenziali di funzionamento. Il tutto con l’emergere del gravissimo handicap di una Vigilanza sui soggetti bancari mantenuta soltanto al livello dei singoli paesi e di un vuoto di possibilità e di capacità di vigilanza per tutte le operazioni, specialmente di finanza strutturata, di carattere transnazionale.

Certo il nostro modello di capitalismo ha un bisogno fondamentale di fiducia nelle banche. Ora vediamo gli Stati al disperato soccorso delle banche con mezzi che infrangono ogni regola e ogni criterio proprio della stessa economia di mercato del capitalismo occidentale. Ci si dice che tutto ciò è soltanto temporaneo e straordinario e volto a ristabilire la fiducia persa. Certo se anche i risparmiatori riacquistassero fiducia nelle banche sarebbe la fiducia di risparmiatori che hanno ormai perso gran parte della loro possibilità di investimento, e così le banche, quand’anche ridessero fiducia alle altre banche, si tratterebbe della fiducia di banche che hanno ormai perso la maggior parte dei loro assets patrimoniali. Per tutti infatti, operatori e banche, l’uscita dai titoli cd. “tossici” ha significato un consolidamento definitivo della perdita e non si vedono possibilità (neppure con le cd. “bad bank”) di rimettere in bonis i titoli “tossici”.

Il mondo bancario registra dunque un drastico venir meno della sua affidabilità. Non si pone certo in dubbio tutta l’importanza della struttura bancaria come tradizione e capacità di fare rete. Esso ha rappresentato e rappresenta una parte importante della società civile, e della società civile globalizzata; ha espresso la tipica forza “istituente” della società civile, ma, eccedendo in questo senso, ha preteso e ottenuto una rigida autonomia rispetto alle altre istituzioni e agli Stati in particolare (a favore delle Banche centrali, da un lato, e delle altre banche dall’altro, disciplinate, queste, da troppe norme speciali rispetto a quelle ordinarie civilistiche), un’autonomia che, col tempo, si è volta verso forme di autoreferenzialità e il rifiuto di controlli sulla meritevolezza dell’operato.

Gli Stati dunque corrono in soccorso delle banche con operazioni e con procedure così straordinarie da poter essere assimilate a quelle che si assumono in uno stato di guerra.

I due recentissimi provvedimenti legislativi del nostro paese, seguendo peraltro una linea di intervento già affermatasi in altri paesi europei, mettono a disposizione dallo Stato una gamma variegata di possibili interventi che possono e devono essere liberamente attivati dalle banche: a) Il Ministero dell’Economia è autorizzato (sino al 31-12-2009) a sottoscrivere azioni di banche italiane (con problemi di inadeguatezza patrimoniale) emesse in sede di aumento di capitale, azioni, si noti, prive del diritto di voto, privilegiate nella distribuzione dei dividendi, che non sono vincolate a una determinata proporzione col capitale sociale e con le altre azioni con diritto di voto e che sono riscattabili da parte dell’emittente; b) Il Ministero dell’Economia è pure autorizzato (sino al 31-12-2009) a garantire la sottoscrizione complessiva di un determinato aumento lanciato generalmente al pubblico; c) Il Ministero dell’Economia è autorizzato a concedere la garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane con scadenza a 5 anni dal 13-10-2008 (anche sui government guaranteed bond); d) Il Ministero dell’Economia è autorizzato (sempre sino al termine indicato) ad effettuare operazioni temporanee di scambio tra titoli di Stato e strumenti finanziari detenuti o passività delle banche italiane; e) Il Ministero dell’Economia può garantire finanziamenti erogati da Banca d’Italia a banche italiane per fronteggiare gravi crisi di liquidità; f) Il Ministero dell’Economia è autorizzato a rilasciare la garanzia statale a favore dei depositanti nelle banche per i casi di default delle banche stesse per tre anni e sino ad ammontari predeterminati di deposito; g) Il Ministero dell’Economia è autorizzato a sottoscrivere strumenti finanziari emessi da banche italiane privi del diritto di voto, con possibilità di conversione in azioni o di riscatto da parte dell’emittente.

Tutto questo si noti in deroga alle norme di contabilità dello Stato, con la possibilità da parte del Ministero dell’Economia di finanziarsi con una procedura del tutto particolare che prescinde dalla formale approvazione legislativa e si vale del semplice decreto ministeriale abilitato, dopo un passaggio per un parere alla competente Commissione delle Camere, alla riduzione di alcune dotazioni finanziarie ministeriali o di singole autorizzazioni legislative di spesa, all’utilizzo delle contabilità speciali e alla emissione di titoli del debito pubblico.

Il piano italiano di aiuti alle Banche (stimato da Bruxelles – per la sola patrimonializzazione delle Banche – tra i 15 e i 20 miliardi di Euro con la Germania a 80 miliardi, l’Olanda a 36,8, la Francia a 24 e il Belgio a 17,4) è stato ritenuto dalla Commissione UE (in quanto Autorità della concorrenza) in linea con la Comunicazione sugli aiuti di Stato per il superamento della crisi finanziaria, il che significa che per le banche sono stati totalmente superati i criteri generali dell’Antitrust relativi agli aiuti vietati e alla compatibilità degli aiuti.

È derogando ai criteri di mercato e a quelli dello Stato costituzionale che si può riattivare il mercato e lo Stato costituzionale? Oppure, per affrontare veramente la crisi attuale si deve procedere in un modo diverso, ripensando il ruolo (strumentale) della finanza e buttando a mare l’immeritevole finanza creativa (e in realtà distruttiva)?