L’andamento negativo dell’economia è mondiale, ma ci chiama tutti alla responsabilità per cogliere il lato migliore di quello che De Rita ha recentemente identificato come “stress da crisi”, volendo significare il possibile effetto positivo di un evento negativo rispetto al quale il nostro paese ha colpe minime.



Ma da dove prendere le forze per affrontare una crisi della quale non si conoscono ancora le reali dimensioni e la durata? La risposta può essere solo una: dalla persona e dalla sua capacità di lavorare insieme. Dai singoli imprenditori, che seguono e danno forma al proprio desiderio di creare un bene o un servizio utile, costruendo aziende che durano nel tempo, affrontando, con passione e tenacia, anche le situazioni più difficili.



Che questo sia possibile lo dimostrano le centinaia di migliaia di piccole e medie imprese che hanno saputo cogliere le sfide dell’introduzione dell’euro, dell’11 settembre e della globalizzazione. Già molti anni prima, in quel quinquennio 1968-1973 che si può ricordare per gravi fatti sociali ed economici – autunno caldo, shock petrolifero, inflazione galoppante e inizio del terrorismo -silenziosamente e con molta fatica, in un entroterra sociale poco di moda, si stava mettendo a punto una versione aggiornata, riveduta e corretta, del fare impresa. Da quel lavoro nacque, qualche anno dopo, il fenomeno del “Made in Italy” e dei distretti industriali, che segnarono la seconda fase di sviluppo del nostro paese, quella degli anni Ottanta. 



Lo sviluppo è sempre stato il frutto di un lavoro lungimirante e tenace, creativo e orientato al cliente, sempre pronto ad imparare e a cambiare. Indipendentemente dalle molteplici differenze si evidenziano quindi quelle capacità personali che hanno saputo costruire (o, in alcuni casi, ricostruire) l’“impresa forte”, titolo dell’ultimo libro di Paolo Preti e Marina Puricelli, che si basa su un’imprenditorialità che sa valorizzare, con grande flessibilità e realismo appassionato, le opportunità interne ed esterne.

Come viene evidenziato in una ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà, “Sussidiarietà e piccole e medie imprese”, che verrà pubblicata in questi giorni, oggi ancora più che allora gli imprenditori non solo chiedono di essere sgravati da obblighi burocratici e da una pressione fiscale mortificante, ma dimostrano anche una forte propensione a valorizzare e a coinvolgere i propri collaboratori e a creare nuove forme di rete fra le imprese, sia a livello orizzontale sia al livello di partnership durature con fornitori e clienti. Il loro scopo non è una concorrenza di tipo “darwiniano”, ma la creazione di valori e di ricchezza favorendo tutte le sinergie possibili.

L’indagine è stata svolta prima che esplodesse la crisi finanziaria. Altrimenti gli intervistati avrebbero aggiunto sicuramente la richiesta di una maggiore cooperazione fra il sistema bancario e il sistema imprenditoriale. Certamente si evidenziano anche delle criticità, che riguardano per esempio la formazione e una maggiore sistematicità nell’internazionalizzazione. Ma il fattore prevalente è un soggetto imprenditoriale che si assume le proprie responsabilità anche per il bene comune e che chiede allo Stato di essere “liberato” più che “privilegiato”. Creatività e capacità relazionali si evidenziano con chiarezza come punti di forza che indubbiamente non bastano, ma che costituiscono l’humus fertile sul quale possono crescere le imprese più forti anche in condizioni ambientali sfavorevoli.   

Chi non vuole arrendersi a questa crisi, chi non vuole aspettare invano qualche cambiamento imprevisto e chi non vuole illudersi vagheggiando nuovi modelli di sviluppo, deve far del suo meglio per sostenere la fiducia nelle persone che lavorano quotidianamente per il bene proprio e il bene di tutti. Per la maggior parte di loro il pensiero del “tutto subito”, che si è dimostrato uno dei fattori scatenanti della crisi finanziaria, è un pensiero molto lontano. La fiducia nella persona, nel suo desiderio e nella sua capacità di impegnarsi creativamente nonostante e attraverso condizioni difficile o ostili è l’unica posizione ragionevole per affrontare e per non subire questo periodo, che altrimenti farebbe aumentare solo la paura e la rassegnazione. Gli imprenditori che in questo momento cercano nuove soluzioni, nuovi mercati, nuove forme di finanziamenti, nuove forme di collaborazione sono mossi da una fiducia ragionevolmente fondata e meritano la stessa fiducia.

Tutti – la politica, le amministrazioni, le banche e gli imprenditori stessi – sono quindi chiamati a rinnovare la fiducia alle persone che fanno impresa. Dare loro credito anche nel senso letterale del termine è compito delle banche e della Pubblica amministrazione, favorendo investimenti sensati anche in un momento dove la predisposizione al rischio imprenditoriale viene messa a dura prova.

(Il Sole 24 Ore 12 febbraio 2009)