E’ incredibile che a due anni esatti dall’inizio della crisi finanziaria ancora le banche nascondano la verità sui loro conti. E’ impressionante l’irresponsabilità sociale di quei manager, soprattutto americani, che sperano di salvare loro stessi e le loro banche semplicemente sperando nelle connessioni politiche che sono riusciti ad allacciare con la nuova Amministrazione Usa. Così come non è ammissibile che Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, dopo diverse riunioni (riservate o pubblicizzate) con i banchieri italiani ancora pochi giorni fa abbia lanciato un appello perché gli vengano mostrati i conti “veri”.
Certo, al G7 di Roma che si è concluso domenica, parlava soprattutto come presidente del Financial Stability Forum, ma a più di un banchiere italiano dovrebbero essere fischiate le orecchie a sentire le sue parole. Ma, visto come è andata finora, temo che continueranno a sopportare il fischio senza muovere un dito.
Oltre al tema dei titoli tossici il G7 a presidenza italiana ha affrontato un altro tema, forse ancora più decisivo, perché teso a gettare le basi per il futuro dell’economia globale. Quello della riscrittura delle regole un cui capitolo è quello del cosiddetto legal standard. Si tratta di ottenere l’adozione da parte di tutti i Paesi del mondo di un set minimo di regole in tema di trasparenza finanziaria.
Intento in sé più che giusto, ma che prende di mira il bersaglio sbagliato finendo per essere alla fine irrealizzabile. La crisi finanziaria, infatti, è scoppiata negli Usa, non in un paradiso fiscale al largo di qualche oceano. E gli Usa, in quanto a legal standard ha ben poco da imparare. Con le sue 100 Authority finanziarie non è riuscita né a prevedere, né a prevenire né a bloccare sul nascere la recessione ed è difficile immaginare che alzando l’asticella della legalità e della trasparenza si possano evitare altre bufere.
La teoria in base alla quale più sono stringenti le regole meno rischi ci sono è fallita. Non esiste una legge perfetta, esistono uomini morali o immorali ed è su questo terreno che ci si dovrebbe concentrare. O si avvia una seria riflessione sulla formazione, anche accademica, dei manager oppure si corre il rischio di rincorrere ancora per anni una legge che risolva tutto. Ma la moralità non si impone per legge.
Inoltre, il legal standard assomiglia maledettamente a quello slogan coniato in era Bush che ha fatto da copertura idealistica alle varie guerre intraprese dalla destra americana: “Esportare la democrazia” negli “Stati canaglia”. E’ impossibile immaginare che il legal standard possa essere esportato sulla punta delle baionette ed è altrettanto impossibile che gli “Stati canaglia” si facciano colonizzare da superiori standard etici se questi sono in contrasto con i loro interessi materiali.
Ammesso e non concesso che fare adottare livelli di trasparenza superiori sia un modo efficace per immunizzare il mondo dalle crisi, allora questi possono essere imposti solo attraverso il divieto per tutte le istituzioni bancarie dei Paesi del G7 di allacciare rapporti d’affari con quegli Stati che hanno bassi standard legali. Occorre evitare, ovviamente, che possa consolidarsi un circuito finanziario parallelo (che in parte già esiste) e in questo diventano utili i controlli delle Authority mondiali da più parti auspicate. Ma se si vogliono costringere gli Stati finanziariamente “canaglia” ad adattarsi, bisogna semplicemente smettere di fare affari con loro. Il problema è che non c’è banca italiana che non abbia una sede o una filiale in un paradiso fiscale.
Se vogliamo dare il buon esempio, cominciamo a imporre la loro chiusura. Sennò anche questo G7 sarà ricordato come l’ennesima fiera delle buone idee.