Negli ultimi round del match della politica il governo ha conseguito più punti dell’opposizione. Giovedì scorso la Camera ha approvato il disegno di legge Brunetta sul riordino del pubblico impiego. Non tutto è andato per il verso giusto, ma l’opposizione non è neppure stata in grado di valorizzare con un voto di astensione (come era avvenuto al Senato) i cambiamenti del testo che aveva rivendicato ed ottenuto. Il giorno dopo è venuta la risposta dell’opposizione: ancora una volta divisa a celebrare lo sciopero “contro natura” proclamato dalla Fiom e dalla Funzione pubblica della Cgil. La “radiosa giornata di lotta” è stata funestata, tuttavia, dalla notizia che, notte tempo, il governo aveva chiuso con le Regioni l’intesa per il finanziamento degli ammortizzatori sociali. Si tratta di un’operazione complessa, che richiede procedure applicative non facili: ma tale da “mettere in sicurezza” la copertura della cassa integrazione per i prossimi due anni, anche nelle peggiori delle ipotesi.



Il Pd, a sua volta, ha presentato – con grande sfarzo mediatico e in presenza di un parterre de rois (all’appuntamento nessuno ha voluto mancare) – il suo piano anticrisi. Un esercizio senza dubbio interessante se non fosse per un piccolo difetto (il primo ad evidenziarlo è stato proprio il sen. Nicola Rossi): il Pd riscopre e rivaluta il deficit spending e gira al largo dalla suggestione di accompagnare una forte allocazione di risorse pubbliche con qualche riforma strutturale (come quella delle pensioni caldeggiata, ad esempio, proprio da Emma Marcegaglia e dallo stesso Nicola Rossi). Poche ore dopo ha battuto il suo colpo il governo: Giulio Tremonti ha conseguito un visibile successo personale alla riunione del G7, a conferma di una linea di risanamento dei mercati finanziari e di “condanna” del protezionismo, che in Europa va di pari passo con il “fare spallucce” al rispetto dei sacri parametri.



Intanto il governo ha avviato un piano di misure di sostegno dei mercati dei beni durevoli che si misurerà nei prossimi giorni col Parlamento. Dal canto suo Guglielmo Epifani ne inventa un’altra e propone di aumentare il prelievo fiscale a carico dei percettori di reddito superiore a 150mila euro l’anno. La proposta suscita le critiche di Emma Marcegaglia. Nessuno si fa avanti ad affrontare la questione con un minimo di obiettività.

C’è da dire, tuttavia, che una misura siffatta potrebbe anche essere assunta senza troppe polemiche. In fondo corrisponderebbe ad un criterio di equità. Basta però avere ben chiari due dati: il primo riguarda l’esiguità del surplus di gettito derivante dalla sovratassa, essendo molto pochi i contribuenti che denunciano un reddito pari o superiore alla somma indicata (peraltro già oggi il loro reddito è taglieggiato dall’imposizione progressiva); il secondo si riferisce al fatto che la grande maggioranza dei contribuenti percettori del reddito messo all’indice da Epifani sono comunque lavoratori dipendenti (in larga misura appartenenti alla dirigenza pubblica). Il che, per un sindacato, dovrebbe fare una qualche differenza.