Lo aveva detto alla vigilia dello sciopero di venerdì scorso indetto dalla Cgil: «Lo sciopero di domani esprime una cultura solamente antagonistica. Non condivido lo sciopero e non ci sarò». È stato severo, il giudizio di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl; fermamente intenzionato a rivendicare per il sindacato un ruolo di primo piano, con la consapevolezza, al contempo, che esso vada riformato. Ma il sindacato non basta più: ecco perché Bonanni ha costituito, insieme ad altri rappresentanti del mondo imprenditoriale, dei movimenti cristiani e delle libere associazioni il “Forum delle Persone e delle Associazioni di ispirazione cattolica nel Mondo del Lavoro”. La crisi economica, dice il documento del Forum, è innanzitutto una crisi di valori e per rispondere occorre ripartire dalla libertà delle persone, “se si vogliono contrastare – dice il documento – i rischi di una degenerazione burocratica, corporativa ed assistenzialistica degli interventi pubblici”.
Bonanni, perché un Forum? Non bastava il sindacato a rappresentare i lavoratori?
Il sindacato è parte importante delle realtà organizzate, ma la sua proposta è parziale. Oggi c’è più che mai bisogno di un punto di vista che raccolga l’insieme delle esigenze e delle esperienze delle piccole realtà organizzate economiche, e che sappia esprimere l’ “interesse” del lavoro.
In cosa si differenzia l’interesse di cui parla dalla rappresentanza sindacale?
Oggi più che mai bisogna difendersi e difendere il lavoro, che la crisi ha ridotto in uno stato di “frantumazione” e di anonimato, soprattutto quello che non ha grandi poteri e non ha grandi dimensioni. Il lavoro della persona deve tornare al centro. La crisi finanziaria ha messo a nudo l’incapacità del capitalismo non solo di mettere al centro la persona, ma di sostenere il capitalismo stesso.
In un modo o nell’altro occorre ripartire dalle macerie della crisi finanziaria.
Questa crisi finanziaria sbugiarda quelli che ritenevano di fare economia solo con la carta e rimette al centro il lavoro. Proprio le realtà più piccole e i lavoratori hanno interesse a far vivere un punto di vista basato sulle loro esperienze, a maggior ragione se c’è un filo conduttore che lega storicamente tanti uomini e tante libere associazioni che si rifanno alla dottrina sociale della Chiesa.
Nel documento del Forum lei auspica che gli interventi (a sostegno di chi è in difficoltà a causa della crisi, avvengano nell’ambito “di una sfida di modernizzazione e progettazione sociale” aperta alla sussidiarietà. È d’accordo con Sacconi quando dice che questo non è tempo di fare riforme strutturali perché costano troppo, ma di tamponare l’emergenza con la flessibilità?
C’è un tempo per tutto, ma il nostro paese ha bisogno di riforme e le cosiddette riforme strutturali devono essere un obiettivo permanente. Solo che oggi per fare le riforme ci vuole condivisione, non ultima quella sul criterio per finanziarle. E la crisi ci interpella in modo pressante per arrivare a una risposta. Governo e Regioni, per esempio, si sono messi d’accordo dando una prova di maturità, istituzionale ma anche politica. Non possiamo nasconderci che diverse Regioni hanno un segno politico opposto a quello dell’attuale maggioranza. È stato un atto di grande responsabilità verso i lavoratori e le piccole aziende.
Non teme che l’accordo rappresenti il ritorno ad una gestione passiva delle politiche del lavoro? Le Regioni avrebbero destinato quei fondi alla formazione.
La via per fare politiche attive è gestirle attraverso la costruzione di presidi sussidiari e di collaborazione tra lavoratori e imprese. E infatti abbiamo chiesto al governo un’espansione della bilateralità, come luogo privilegiato della sussidiarietà. Non c’è distonia tra ciò che ci serve immediatamente per dare una prospettiva alle persone che possono aver perso il lavoro, e quindi un reddito, e l’esigenza di costruire un nuovo welfare. Poiché la sussidiarietà parte dalla libera e autonoma iniziativa di lavoratori e imprese, ha bisogno di un agone favorevole ma anche di un tempo per costruirsi.
Insomma, lei non vede una contraddizione tra l’utilizzo di fondi regionali per gli ammortizzatori sociali e il fatto di mettere in agenda, in una data a venire, le riforme che servono…
Infatti. Solo se creiamo delle politiche di protezione oggi, per dare un messaggio di rassicurazione, possiamo gettare le basi delle riforme strutturali. Esse non possono essere qualcosa che costruisce solo lo Stato, ma qualcosa che le tante “formiche” – imprese o lavoratori che siano – cominciano a costruire nei territori, creando tanti “presidi di mutualità”, gestiti sussidiariamente. Lo Stato dovrebbe dare corsie preferenziali perché si affermi questa occasione di autonomia, ma anche di responsabilità e di capacità governo.
Sta per caso parlando di federalismo?
Sto parlando dell’unica alternativa possibile ad un federalismo calato dall’alto. Ho sempre detto che il federalismo senza sussidiarietà – cioè qualcosa che muove dall’opera delle persone organizzate – è una truffa, che trasforma lo Stato in tanti piccoli Stati perché non coinvolge e non fa esprimere la gente.
Con la Cgil ha usato toni molto duri, accusandola di “puntare ad una ristrutturazione della sinistra più che del sindacato”. Perché i lavoratori, al contrario, non dovrebbero pensare che lei e il suo sindacato appoggiano Confindustria e il governo?
Perché il mio sindacato anche durante il governo Prodi cercava l’accordo. Un sindacato non è un soggetto che ogni settimana va in piazza per fare rumore e, attraverso le urla, stordire chi governa e dar forza all’opposizione. Il sindacato è una realtà che organizza milioni di persone, rappresenta interessi di persone in carne e ossa ma anche di culture, e per far vivere questi interessi contratta, media, fa sentire la propria presenza con chiunque. Lo sciopero è l’ultima carta. È la carta che si usa quando l’interlocutore non è disposto, per partito preso, a discutere. E non è stato il caso finora, come non lo è stato con Prodi.
Lei non ha firmato, sta dicendo, alcuna delega in bianco.
Come Prodi interloquiva, anche Berlusconi lo sta facendo. Questo non vuol dire che tutto quello che fa il governo ci vada bene, ma quando il piatto della bilancia che più ci interessa diventa molto più leggero dell’altro, si rompe l’equilibrio.
Cosa rimprovera invece alla Cgil?
Da quando si è insediato il nuovo governo, la Cgil non fa che chiedere mobilitazioni. Venerdì (venerdì 13, giorno dello sciopero della Cgil, ndr.) erano presenti alla manifestazione persone che fino a qualche mese fa, perfino alcuni anni fa, avevano sostenuto che occorresse fare un accordo con gli imprenditori sul nuovo modello contrattuale. La piazza urla contro l’accordo, e in quella piazza ci vanno anche coloro che volevano l’accordo? Non parlo dei lavoratori, di cui ho il massimo rispetto, ma di come alcuni intendono utilizzare queste occasioni per ristrutturare la sinistra, e non il sindacato.
Il sindacato ha bisogno di essere ristrutturato, lei dice. Che vuol dire?
Che il sindacato pluralista italiano ha bisogno di trovare un equilibrio interno in grado di far esprimere tutti i punti di vista e di far convivere tutte le esperienze. Oggi non è così perché oggi alcuni non sono abituati a dialogare con gli altri.
Cisl e Uil hanno firmato l’accordo sulla contrattazione, Cgil no. La Cisl ha intrapreso un cammino difficile, è pronta a resistere alla pressione della Cgil? Lei quanto è pronto a spingersi avanti?
Noi andremo avanti con la nostra linea e con la nostra opinione, che avevamo concordato anche con gli amici della Cgil. Ma la Cgil invece ha visto prevalere al proprio interno un’opinione opposta e quindi ha cambiato linea. Io sono convinto che la Cgil tornerà con noi. Se uno analizza la storia sindacale italiana, vedrà che la Cgil ha resistito a ogni cambiamento, salvo poi essere “riagganciata”, sulla scorta dello stesso cambiamento che inizialmente aveva ostacolato.
È una speranza che confligge un po’ con la commistione di sindacato e politica di cui mi ha appena parlato…
Sì, ma è una situazione che non credo faccia fare molta strada a quei sindacati che hanno un rapporto troppo organico con le realtà politiche.
Cosa ne pensa del piano anticrisi del Pd?
Ci sono diversi spunti interessanti che condivido, anche se andrebbero chiariti. Sono d’accordo che occorra varare interventi per un punto di Pil in più. È molto, ma è forte anche la recessione. So benissimo che abbiamo una difficoltà storica che viene dal nostro debito, ma il debito si assorbe attraverso uno stimolo verso l’economia.
Lei prima ha detto che per fare le riforme strutturali deve esserci una condivisione degli obiettivi…
Per fare investimenti e rilanciare l’economia non basta mobilitare soldi. C’è bisogno di una concordia, di una convergenza e di una cooperazione tra maggioranza, opposizione e parti sociali.
Tutte le forze sociali e politiche devono convergere in un disegno comune, innanzitutto per un senso di responsabilità verso la comunità. Ma finché ogni occasione è buona per denigrare quello che fa l’avversario, non vedo vie d’uscita.